L'ammiraglio dei pirati
L’odio per gli spagnoli, che hanno ucciso suo padre, lega Guy all’ammiraglio della loro piccola flotta. L’Olonais, si fa chiamare. Ollonese o Olonese, come dicono alcuni di questi inglesi ignoranti, nella loro stupida lingua masticata.
Per Guy è un duro, l’ammiraglio. Niente di strano, visto che è un francese e porta il nome di un porto francese. Meglio non cadere suoi prigionieri: le urla dei torturati hanno risuonato nelle orecchie della ciurma del Trisquel per tutta la settimana. Forse per questo hanno continuato a tracannare rhum. L’Olonais si diverte così; niente donne o troppo vino. Solo prigionieri da fare a pezzi. E non è che ci sia da avere pietà con i soldati spagnoli, pensa Guy; senza troppa convinzione.
Si dice che quattro anni fa l’Olonais naufragò a Campeche, in Messico. Gli spagnoli uccisero tutti i suoi, ma lui sopravvisse, nascondendosi fra i morti. Poi venne qui a Tortuga, e con un gruppo di ex schiavi, come lui, partì per saccheggiare l’Havana, la grande roccaforte spagnola. Quanto oro è tornato da quella spedizione! Cento uomini hanno bevuto e mangiato per tre mesi interi! Guy si è unito alla flotta dell’Olonais solo tre anni prima, quando Michel le Basque è stato catturato in una taverna messicana; il secondo di bordo e il nostromo hanno finito per ammazzarsi a vicenda dietro alla bottega del calzolaio.
L’Olonais ha comprato il Trisquel, e Guy e gli altri ora fanno parte della flotta del feroce pirata: otto navi e seicentocinquanta uomini in tutto. L’Olonais li guida tutti dal ponte del suo grande veliero.
La nave pirata
Eccolo, il Trisquel. Guy guarda con un misto di scherno e pietà i poveracci cui la sorte ha decretato il governo della nave durante la permanenza a terra del resto dell’equipaggio. Anche a lui una volta era capitato, e non è era stato poi così male. Si carica a bordo una donna per ogni uomo e ci ferma in una gola dalle parti di La Vache. Pazienza se le donne portano sfortuna. La malasorte arriva solo qunado si è in mare, non con l'ancora abbassata.
Guy attraversa la passerella con sicurezza, nonostante non abbia mai voluto imparare a nuotare. Se deve finire in mare durante una tempesta, sa che i suoi compagni non lo recupereranno mai; meglio una morte rapida.
Il Trisquel è un brigantino, veloce con le sue vele quadre e i due alberi. È un vecchio scafo bretone, e necessita di molte riparazioni.
Tutta la ciurma sta cominciando a salire. È un’accozzaglia di uomini di ogni specie. Qualche diseredato, o figlio bastardo di nobili inglesi; un paio di ex mercanti andati in rovina, come Billy Stoor, che trasportava cotone in Inghilterra dai porti d’Italia. C’è anche il medico di bordo, uno scozzese con la barba dura come il ferro e gli occhi porcini. Non guadagnava abbastanza là dove viveva lui, forse perché non era abbastanza bravo o troppo attaccato alla bottiglia. Il che fa capire quanto convenga ammalarsi a bordo. C’è anche il giovane Drapeau. Dice che faceva il precettore dalle parti di Dinard, prima di prendere il mare. Ma secondo Guy è un avvocato andato in rovina; parla troppo svelto per essere un maestrino di campagna. E gli avvocati portano sfortuna, come i preti, che costituiscono una sfida a Satana. Meglio tenerseli buoni tutti, gli spiriti del mare, che vengano da lassù o da laggiù. Fra l’altro il cocciuto maestrino insiste nell’armarsi con una sciabola troppo lunga. Il suo destino è rimanere impigliato nel sartiame con quella maledetta arma, un cimelio di famiglia, dice lui, e precipitare fra i demoni dell’oceano.
Vita di bordo
A bordo per prima cosa bisogna controllare il buono stato delle armi. Il nuovo capitano del Trisquel, un inglese di nome Lockjaw che non ha la metà del coraggio dell’Olonais, urla come è suo solito.
L’arma più importante sono le granate, semplici palle di ferro riempite di polvere da sparo e pezzi di vetro. Utilissime per colpire il nemico dalle canoe, insieme agli stracci incendiari imbevuti di pece e ai piedi di corvo, piccole stelle a quattro punte che forano i piedi dei marinai. Una volta saliti sullo scafo predato, è meglio trovarli zoppi, i nemici.
A ogni assalto è necessario recuperare i piedi di corvo, perché sono molto costosi. È un lavoro lungo e ingrato, e spesso ci si procura qualche ferita. Il Trisquel ne trasporta quattro casse.
Non mancano naturalmente le palle incatenate, da lanciare col cannone per distruggere gli alberi delle navi. Ma Guy, in tutta la sua carriera per mare, le ha viste usare solo un paio di volte. Le palle di cannone vere e proprie quasi mai. Nessun pirata vuole veder affondare il proprio bottino. Quattro mesi addietro, la flotta dell’Olonais ha catturato un veliero italiano che ne trasportava a centinaia. Vendute quasi tutte durante questa settimana a terra.
I moschetti e i tromboni erano già stati tutti puliti e riparati i primi due giorni in porto. Guy e i suoi avevano preferito sistemare le cose per poi passare il resto del tempo ubriachi a terra. Il nostro marinaio controlla lo stesso. Il capitano imbarca troppi moschetti, secondo lui. Molto meglio i tromboni, meno precisi ma più maneggevoli. E poi, dove il Trisquel sta andando, sarebbero state molto più utili le armi a distanza ravvicinata.
Guy sistema la sua personale pistola a pietra focaia. L’aveva già fatto prima di sbarcare, ma pulisce la canna e fissa la pietra lo stesso, stringendo coi denti la piccola vite. Una mano alla cintura, e carica l’arma. Adora l’odore di acciaio e polvere da sparo che gli rimane tra le mani. Prende una piccola ascia e se la sistema al fianco; la sua arma bianca preferita, come per la maggior parte degli uomini di mare, perché molto maneggevole.
Altri si stanno già occupando delle provviste, come d’accordo. Li aspettano due giorni duri, lo sanno. Come tutte le navi pirata, il Trisquel ha bisogno di manutenzione.
Il fiume Ozawa, a mezza giornata di navigazione più a sud, è l’ideale. Non si può restare a Tortuga, perché c’è sempre il rischio di un’incursione della Marina Spagnola. I fondali bassi del fiume impediranno eventuali inseguimenti dei galeoni.
Ma calafatare lo scafo è un lavoro lungo, sporco e ingrato. Alghe, cirripedi e molluschi hanno corroso il legno in lunghi mesi di navigazione, e tarli e vermi hanno tormentato i marinai coi loro scricchiolii nelle silenziose notti al largo. Tutte le giunture tra e le tavole vanno riparate, riempite di stoffa e sigillate con pece calda. Le infiltrazioni sono la morte per una nave. Con quel sole che di lì a qualche ora avrebbe picchiato dritto sulle loro teste, non sarebbe stato piacevole.
È ora di partire, riparare la nave e unirsi alla flotta dell’Olonais. Su un’altra nave, la Raven, c’è una vecchia conoscenza di Guy: Michel le Basque, fuggito dalle prigioni spagnole. Il nostro pirata spera di rivedre il suo vecchio capitano. Il loro obbiettivo? L’invasione di Maracaibo!
Nel 1667 salparono da Tortuga otto navi e 650 uomini; al comando c'era il feroce pirata francese l'Olonais, al suo fianco un altro famoso filibustiere, Michel le Basque. Depredarono in lungo e in largo il golfo del Venzuela fino a catturare il porto di Maracaibo. Dopo aver messo a ferro e fuoco la città, si fecero pagare un riscatto senza precedenti dal governatore locale. Carichi di bottino, ripartirono. Nel 1670, nel tentativo di conquistare l’inespugnabile Città del Guatemala, ultima di una serie di imprese coraggiose ma quanto mai avventate. L'Olonais si fracassò sugli scogli con l’ultima nave, e fu abbandonato dai suoi uomini, che ormai avevano perso ogni fiducia in lui. Con una zattera arrivò fino al golfo di Uraba, dove fu catturato da una tribù di indigeni. Lo mangiarono.
1 commenti
Aggiungi un commentocomplimenti e dei migliori davvero. Io sono un appassionato di "piratologia",scrivo e studio la materia da parecchi anni. Mi è piaciuto molto il tuo racconto. Era particolarmente vivo e ricco di fondmenti storici...sul serio... mi farebbe piacere sentirti o scambiare pareri,ti lascio la mia e-mail così mi fai sapere. ciao
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID