– Signore, cioè... soldato, sostituisci Triboniano nella pattuglia orientale. Lui è ancora sofferente per quella brutta ferita.
– Sì, signore – rispose Argyros. Spronò il cavallo e raggiunse gli altri due componenti della pattuglia, Bardanes Philippikos e Alessandro l’Arabo, all’uscita del campo. La tensione aleggiava nell’aria. Bardanes sollevò la mano per salutare e poi la lasciò cadere lungo il fianco. Alessandro domandò: – Dove andiamo, signore?
– Sono io che devo chiamarvi signore e tocca a voi dirmi dove andare.
– L’ho sempre sognato – commentò Bardanes con un mezzo sorriso, cercando di allentare la tensione.
Si avviarono in silenzio, incapaci di affrontare l’argomento che più stava a cuore a tutti loro: la caduta del loro comandante. Solo quando furono tanto lontani dall’accampamento da non riuscire più a scorgerlo, Bardanes trovò il coraggio di porre la domanda che tratteneva fino dalla partenza. – Domando scusa, ma è possibile sapere quale sia la causa di questo capovolgimento?
– Ho commesso uno sbaglio durante la riunione degli ufficiali – rispose Argyros cercando di restare nel vago. Ma i compagni lo costrinsero a spiegarsi meglio. – Ho dimostrato a Hermoniakos che sbagliava a prendersela con Doukas, e così mi sono fatto un nemico.
– Ecco cosa si guadagna a immischiarsi nelle faccende dei superiori commentò Alessandro con fatalismo arabo. – L’orso può avere la meglio sul leone e il leone può avere la meglio sull’orso, ma il coniglio ci rimette sempre.
– In qualsiasi caso è una vergogna – disse Bardanes. – Ci sono tantissimi ufficiali che meriterebbero di essere degradati, ma... tu sei sempre stato giusto.
– Ti ringrazio.
– Di niente. Ti renderai conto da solo di quanto possano essere bastardi.
Si erano avvicinati a un ruscello avvolto dalla vegetazione, il luogo ideale per un’imboscata. Senza rendersene conto, Bardanes e Alessandro si volsero verso Argyros in attesa di ordini. Il fatto di essere rimasto ancora il comandante, lo inorgoglì e gli infuse il coraggio di affrontare quello che aveva stabilito di fare.
– Dividiamoci – disse. – Voi due vi dirigerete verso sud, io andrò a nord. Guaderemo il ruscello e ci incontreremo sull’altra sponda.
I due uomini si avviarono, lo sguardo fisso sulla vegetazione alla ricerca di qualcosa di nascosto. Argyros si diresse verso nord, come aveva detto ma, una volta guadato il ruscello, anziché tornare verso il luogo stabilito lanciò il cavallo al galoppo verso nord-est.
Sapeva benissimo cosa avrebbero fatto i suoi compagni non vedendolo arrivare: innanzitutto avrebbero percorso la strada a ritroso per accertarsi che non fosse stato colpito, quindi avrebbero seguito le sue tracce per un breve tratto. Si domandava cosa avrebbero pensato dopo aver capito che la sua direzione portava esattamente verso gli jurchen.
Non avrebbero potuto fare altro che tornare al campo e annunciare a Tekmanios che aveva disertato. E del resto, era proprio quello che aveva intenzione di fare.
Quello che più lo preoccupava era il primo impatto con le pattuglie jurchen, ma i nomadi che poco tempo dopo lo avvistarono ritennero più interessante portarlo al loro accampamento, naturalmente dopo averlo completamente disarmato.
Le tende degli abitanti delle pianure erano sparse senza alcun ordine su un terreno tre volte più esteso di quello occupato dal campo romano, ma Argyros ebbe la netta sensazione che il numero degli jurchen fosse inferiore di quello dei loro nemici.
Alcuni nomadi si fermarono a guardarlo; erano talmente abituati a cavalcare che si trovavano impacciati quando si spostavano a piedi. La tenda del khan era più grande delle altre e proprio davanti all’entrata era conficcato nel terreno lo stendardo fatto con le code di bue. Una delle guardie urlò qualcosa nella sua lingua estremamente musicale, della quale Argyros conosceva solo alcune triviali parole.
Comparvero due uomini, uno dei quali era sicuramente il khan. Era basso e tarchiato, di circa quarant’anni; i suoi occhi vicini e il suo volto largo erano caratteristici dei nomadi delle pianure, ma il naso era stranamente ricurvo. La barba e i baffi radi lasciavano scoperte le labbra, simili a una sottilissima ferita. Dopo aver ascoltato le brevi parole della guardia, si rivolse al nemico.
– Mi chiamo Tossuc. Dimmi la verità.
Argyros chinò il capo. – Lo farò, potente khan.
Tossuc ebbe un gesto di impazienza. – Non amo essere adulato. Parla liberamente, ma se mentirai ti ucciderò.
– In tal caso non parlerà affatto liberamente – si intromise ridacchiando l’uomo che era uscito dalla tenda insieme al khan. Parlava il greco molto più fluentemente di Tossuc. Era un vecchio dai capelli bianchi e i suoi tratti non erano duri come quelli della sua gente. Argyros credette di ravvisare in lui proprio l’uomo con il tubo, ma durante la battaglia l’aveva visto troppo da lontano per poterne avere la certezza.
Sentendosi osservato, il vecchio rise di nuovo: – Non fidare nel mio aiuto, romano. La tua salvezza non dipende da me, ma da te. Io sono solo lo sciamano del clan, non il khan.
– Parli troppo, Orda – lo interruppe Tossuc. Si rivolse nuovamente ad Argyros. – Per quale motivo non ti dovrei considerare una spia e farti squartare da due cavalli?
Argyros si raggelò. Tossuc non scherzava affatto. – Non sono una spia – rispose. – Se lo fossi, non sarei stato tanto stupido da farmi catturare.
– E chi sa dove può arrivare la stupidità di una spia romana? Se non sei una spia, perché sei qui? Rispondi subito e non prendere tempo per inventarti delle storie.
– Non ho proprio niente da inventare – ribatté Argyros. – Sono, anzi, ero un ufficiale dell’avanguardia. I tuoi uomini te lo potranno confermare. Ho avversato il comandante dimostrando dinnanzi a tutti che aveva torto e sono stato degradato. Cosa avrei dovuto fare?
– Ucciderlo – rispose secco Tossuc.
– No, perché sarei stato ucciso dagli altri. Ma come potrei continuare a servire l’imperatore dopo un simile torto? Invece, unendomi a voi, avrò la mia vendetta.
Il khan si sfregò il mento, pensoso. Orda gli sfiorò la manica e gli bisbigliò qualcosa e il suo capo annuì. – Saresti disposto a giurare sul tuo Dio cristiano che stai dicendo la verità? – chiese lo sciamano.
– Sì – rispose Argyros. Si fece il segno della croce e giurò: – Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per la Vergine e per i Santi giuro di aver lasciato i romani in seguito al diverbio con il mio comandante in capo, Andreas Hermoniakos.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID