La conversazione continuò, finché lo sciamano iniziò a sbadigliare e le sue pupille, nonostante la tenue luce delle lampade a olio, si ridussero a due puntini. Sempre più assonnato fissò Argyros, improvvisamente sospettoso. – Hai me...? – La testa gli cadde sul petto e si appoggiò delicatamente sul tappeto.

Argyros rimase immobile per alcuni istanti per accertarsi che lo sciamano non si potesse svegliare. Orda gli era simpatico. Si augurò di non aver ecceduto con l’estratto di papavero... ma no, la respirazione era regolare anche se lenta.

Appurato che la droga aveva fatto effetto, il romano si levò in piedi. La sua sbornia sembrò sparire di colpo. Non aveva tempo da perdere. Lo sciamano sapeva anche curare gli uomini e le bestie e capitava spesso che qualcuno venisse a chiamarlo sia di giorno sia di notte.

I tesori di Orda erano contenuti in alcuni bauli di vimini riposti in fondo alla tenda. Argyros iniziò a esaminarli accuratamente; si impossessò di un pugnale e di alcune corde per l’arco. Per il resto si trattava di strumenti che lo sciamano usava nei rituali magici e che lui non aveva il tempo di esaminare né poteva portarsi via. Eccolo! Il tubo che Orda aveva usato contro i romani! Non era fatto di metallo come gli era parso, ma di pelle nera, che ricopriva un’intelaiatura di bastoncini. Alle estremità c’erano veramente due occhi di Argo che riflettevano la luce delle lampade con un sinistro bagliore.

Tremante, nascose il tubo sotto la tunica e se ne andò in silenzio.

Con il cuore che gli batteva in gola giunse alla lunga fila di cavalli impastoiati. – Chi va là? – domandò una sentinella, sollevando la torcia.

Argyros si avvicinò sorridendo e gli mostrò una faretra. – Buka della pattuglia sud l’ha dimenticata. Kaidu ha appena fatto ritorno e mi ha domandato di portargliela. – Parlò mischiando il greco alle poche parole jurchen che aveva imparato.

Si teneva pronto a colpire, ma finalmente la sentinella capì. I nomadi si erano già serviti di lui per simili incombenze, e Buka era conosciuto in tutto il gruppo per la sua sbadataggine. La guardia scoppiò a ridere. – Quello sciocco figlio di una capra, prima o poi dimenticherà anche la testa. Va bene, vai pure.

Il romano non riuscì a comprendere l’intero discorso, ma capì di aver avuto il permesso. Salì a cavallo e si diresse verso sud, come aveva detto. Non appena il campo scomparve alle sue spalle, fece un’ampia svolta e si lanciò al galoppo più sfrenato. Più si allontanava, più sentiva intensificarsi il profumo della pianura.

Dopo un po’ spuntò la luna e la steppa si illuminò della sua pallida luce. Se questo facilitava Argyros, aiutava però anche gli eventuali inseguitori. Dipendeva tutto dal ritardo con cui avrebbero scoperto che Orda era stato drogato. Doveva accumulare il maggior vantaggio possibile.

Usò tutti i trucchi che conosceva per confondere le sue tracce e fu talmente fortunato da imbattersi persino in un terreno che gli jurchen avevano utilizzato come pascolo. Lo seguì per diverse miglia, mischiando in tal modo le proprie impronte con quelle di migliaia di altri cavalli.

Solo alle prime luci dell’alba iniziò a cercare un riparo. Il cavallo sembrava ancora fresco, ma nonostante gli animali dei nomadi fossero più resistenti di quelli dei romani, non voleva rischiare di perdere il suo unico mezzo di trasporto. Del resto, lui stesso era talmente sfinito che non sarebbe riuscito a restare in sella ancora per molto.

Quando finalmente notò una fila di piante, ebbe l’impulso di gridare: quegli alberi volevano dire acqua fresca, probabilmente un ruscello, e magari anche del pesce, o forse addirittura frutta e noci. Se poi fosse stato raggiunto, avrebbe almeno potuto lottare da una posizione riparata.

Abbeverò il cavallo e lo legò a un albero vicino al ruscello, nella speranza che risultasse meno visibile. Si sdraiò accanto alla bestia per riposarsi solo un momento prima di mettersi alla ricerca di qualcosa da mangiare.

Fu svegliato dai raggi del sole che gli colpivano gli occhi. Si guardò attorno, confuso, perché la luce non veniva dalla parte giusta, finché si rese conto di aver dormito più di mezza giornata. Ringraziò Dio di non essere stato sorpreso nel sonno dai nomadi e si alzò.

Le rocce del ruscello erano cosparse di gustosi crostacei, ma non gli riuscì di catturare nemmeno un pesce, con il solo aiuto delle mani. Gli alberi erano carichi di susine purtroppo ancora acerbe. Sospirò. Avrebbe dovuto cacciare. Ma ciò che più lo interessava in quel momento era il tubo.

In un primo momento credette di averlo rotto: lo ricordava molto più lungo, nelle mani di Orda. Quindi si rese conto che i tubi erano due, incastrati uno dentro l’altro. Alla luce del sole, gli occhi di Argo non sembravano più dei veri occhi, ma assomigliavano piuttosto al cristallo nel quale Orda gli aveva mostrato lo spirito del fuoco. Stava per spezzare il tubo per vedere cosa contenesse quando si fermò: chissà quale genere di diavoleria poteva racchiudere! Forse sarebbe riuscito a intravedere il demone. Con grande cautela, pronto a scagliare lontano il tubo in caso di pericolo, accostò l’occhio all’estremità più grossa, sussurrando: – Madre di Dio, abbi pietà di me!

Quello che vide non fu però il volto sogghignante di un demone, bensì qualcosa ancora più strano: un piccolissimo cerchio luminoso, molto più piccolo del diametro del tubo, e nel suo interno... Gettò a terra il tubo e si stropicciò gli occhi incredulo, quindi, ripetendo la preghiera di poco prima, lo riafferrò con precauzione. Eccoli, erano proprio gli alberi che si innalzavano sulla sponda opposta del torrente, ma talmente minuscoli da apparire lontanissimi e, ma certo, erano al contrario!

Abbassò il tubo domandandosi come avessero potuto gli jurchen sconfiggere i romani servendosi di un tubo che mostrava il mondo capovolto e tanto rimpicciolito. Forse non aveva eseguito bene la magia di Orda, ma non aveva fatto esattamente come lui? Quindi rifletté che avrebbe potuto provare a girare il tubo e guardare dall’estremità opposta. Questa volta il cerchio di luce gli apparve più grande ma, diversamente da prima, gli alberi non erano altro che una massa confusa di colori e di forme.

Riabbassò il tubo, abbattuto. Orda sapeva far funzionare quel maledetto aggeggio. Forse che lui era più stupido e più incapace del barbaro? Niente affatto, avrebbe provato e riprovato ancora.