Se osservaste le cose attraverso gli occhi del signor Farber, il nuovo inquilino del condominio gestito dal balbuziente Cleveland, non vi piacerebbero: non vi farebbe una buona impressione Reggie, uno ‘scienziato’ che fa esperimenti di bodybuilding e possiede metà corpo ipertrofico e l’altra metà normale; forse neppure Mr Leeds, che ha passato tutta la vita nella sua stanza, o la signora Bell, che adora gli animali.
Probabilmente vi sorprenderebbe la domanda insistente che Cleveland (Paul Giamatti) pone agli ospiti del condominio: hai visto qualcuno nuotare nella piscina di notte?
Il regolamento è chiaro: non bisogna nuotare dopo le sette, ma qualcuno sguazza nell’oscurità.
Quando Cleveland cade nella piscina viene salvata da una giovane strana (Bryce Dallas Howard). Il suo nome è Story, e come implica il nome ha una storia da raccontare, ma le regole del suo mondo le proibiscono di svelare quale sia.
Ci pensa una signora coreana a svelare che la fanciulla è una narf, una ninfa marina, inviata per salvare umanità risvegliando lo spirito di qualcuno che vive nel complesso. Incapace di tornare al suo mondo, troverà in Cleveland qualcuno che cerca di aiutarla e proteggerla da una bestia appostata nelle erbacce.
Il film di Shyamalan è una sfida presuntuosa e preziosa; una magia fragile che mescola religioso e favola, anzi è la favola sulle favole o, più precisamente, su come nessuno fa più buone favole;
Il film, basato su un racconto della buonanotte che Shyamalan ha inventato per le figlie, ha molte inquadrature suggestive, ma il regista è così occupato dai dettagli da perdere di vista il quadro d’insieme. In nessun momento ci si trova immersi nella vicenda perché Shyamalan è così occupato a ricordarci che stiamo guardando, dopo tutto, un film.
Il punto forte di Shyamalan come un regista non è mai stata la storia; quanto la capacità di evocare atmosfere che rendono possibile per noi credere nella possibilità di essere visitati da fantasmi, supereroi visitatori alieni o, in questo caso, una ninfa.
Come per molti altri film dello stesso regista, Lady in the Water offrirà materia di discussione. Il film non è senza merito, solo difficile da interpretare.
Shyamalan non ha mai fatto nulla che avesse l’aspirazione di cambiare il mondo, ha sempre cercato di sposare gli orrori del mondo di fuori con quegli in suo isolato ed ermeticamente sigillato universo.
Lady in the Water è una storia gentile e capricciosa che include momenti paurosi, anche se forse non tanti quanti quelli visti in Sign o Village, e gli attori sono di buon livello; gli effetti speciali sono solo suggeriti (spesso un pregio) e non c’è nessuna vera scena d’azione.
E’ una vicenda senza sorprese, tranne forse quella di ritrovare lo stesso attore nei panni di uno dei personaggi principali del film.
Il simbolismo è evidente: la piscina a forma di cuore ci dice che la salvezza può venire solo dal cuore, dalla capacità di amarsi l’un l’altro.
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Aggiungi un commento“Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora sarebbe troppo per voi; quando però verrà lui, lo Spirito della verità vi guiderà verso tutta la verità. Non vi dirà cose sue, ma quelle che avrà udito, e vi parlerà delle cose che verranno. Nelle sue parole si manifesterà la mia gloria, perché riprenderà quello che io ho insegnato, e ve lo farà capire meglio” (Gesù, Gv 16, 12-15).
“We are all here to do what we are all here to do” (oracle, Matrix reloaded)
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Mi è piaciuto molto (come tutti i suoi film, Signs e The village in testa), per vari aspetti, sinteticamente direi soprattutto:
- il tema del ‘raccontare sul raccontare’, con Shyamalan che – oltre agli elementi portanti della fiaba (difensore, guaritore etc…) - inserisce se stesso, la figura del critico (mi sono scervellato per capire dove avessi visto quell’attore [Bob Balaban], e non ci son riuscito, ma alla fine ho svelato l’arcano cercando in rete: era l’amico a rischio d’infarto di Harry Block, lo scrittore col blocco dello scrittore interpretato da Woody Allen in ‘Harry a pezzi’!!!), e svariati rimandi al suo cinema passato (lo fa sempre - come e più di Allen, l’esperto del ‘citarsi addosso’ - e questa volta ho ‘rivisto’ ‘il bambino’ de il sesto senso, ‘il pesista’ di Umbreakable, ‘gli oggetti apparentemente inutili’ di Signs, ‘la Howard impaurita’ di The village etc...), a formare una sorta di triangolazione metasignificativa (autore, critica, opere) che procede appunto di pari passo al binomio base del racconto filmico, quello tra realtà (di primo ordine) in divenire ed elaborazione fiabesca (realtà di secondo ordine, costruita, anche se ‘c’era una volta’ in cui, narra il prologo del film-fiaba…).
- Il trait d’union del tutto (cioè: dei due livelli suddetti) va a legarsi con i due personaggi principali, cioè il Cleveland del condominio, da un lato, e lo Shyamalan che ne è l’ospite ‘meta-illustre’ dall’altro. I due, ‘in vero’, sembrano scambiarsi i ruoli, sempre stando a guardare il binomio vero-falso: il vero Shyamalan va ad indossare la falsa maschera di uno scrittore in crisi (‘Harry a pezzi’!) – essendo in vero il fecondo sceneggiatore della pellicola – mentre quello del ‘medico al servizio del condominio’ rappresenta invece, con ogni probabilità, il vero Sé dell’autore con gli esistenziali dilemmi che si porta dietro (fra l’altro Shyamalan, se non sbaglio, prima di iniziare a fare cinema si era effettivamente laureato in medicina!). Entrambi, infine, vengono 'toccati' da Story, il personaggio et favolistico et reale (appartenente ai due mondi, oltre che ai due piani narrativi, come indicato dal suo stesso nome...), simbolo del film (lo Spirito di Dio che si muove sulle acque [Gn 1,1]... della piscina).
- Il film, messo in questi termini, mi pare dunque un esempio di tematiche ‘wachowskiane’ (trilogia di matrix, V per vendetta: nosce te ipsum, rapporto realtà-finzione...) mixato con il classico ‘effetto Shyamalan’, con una trama cioè che procede apparentemente in un senso ma che poi sul finire si ribalta anche questa volta: Cleveland, ‘uomo comune col lavoro comune’, il personaggio del film inizialmente tagliato fuori dallo stesso regista (cf. alcune inquadrature in cui non riesce a entrare con tutto il corpo, ed altre in cui è ripreso fuori fuoco, ‘appannato’ come il Robin Williams di ‘Harry a pezzi’ [sempre ‘sto film… sarò io che son fissato con quello che considero forse il miglior film di Allen - un ‘autoterapeutico sogno felliniano’ in cui lo scrittore è il personaggio ed il personaggio è lo scrittore - o effettivamente Shyamalan vi si è ispirato con casting, sceneggiatura e regia?!? Oppure esiste veramente una Story che ha ispirato analogamente, a distanza di anni, i due autori?!?]), quello che era stato al servizio di tutti i condomini, e finanche della ninfa (senza batter ciglio!?!), si ritrova infine al centro della ‘storia’, aiutato da tutti in una vera e propria seduta terapeutica di ‘psicodramma gruppoanalitico’, che gli permetterà di rimettersi in gioco assieme ai suoi cari (morti traumaticamente, ma interiormente sempre presenti, messi ‘a fuoco’ indelebilmente nell’animo, sia pur provvisoriamente ‘scotomizzati’ nel vecchio diario) in quella che è la scena di ‘riattualizzazione analitica’ più bella e commovente (chi l’avrebbe detto… per la prima volta con un suo film il controllato regista m’ha fatto venire le lacrime agli occhi!) del film.
Detto questo, forse azzarderei questa critica, in negativo, al film: è dato tanto, forse troppo spazio al personaggio interpretato proprio da Shyamalan; può essere stata una scelta azzeccata a livello ‘cerebrale’ – come ho cercato di giustificare con quanto scritto sopra (è comunque un personaggio centrale, non solo una falsa pista iniziale utile a nascondere il finale) – ma a livello più ‘viscerale’ forse rimane superfluo (o per lo meno, così com’è, ‘mala-mente’ realizzato). Oltre tutto se è l’idea, l’ispirazione ‘iperuranica’, quella che conta – più ancora che lo scrittore che la racconta – messaggio questo che si potrebbe desumere proprio guardando il film (è importante averla ‘fra le dita’ [come canta Grignani], viverla in prima persona, la ‘Storya’), allora anche (a livello metasignificativo-psicoanalitico) la eccessiva, ‘narcisistica’, presenza dello sceneggiatore-regista sullo schermo può essere un segnale d’allarme, e cioè una ‘sintomatica’ espressione di un eccedere nel racconto (il dare cioè troppo spazio al suo ‘personaggio’ di scrittore), di un ‘raccontar troppo’ che si fa alla fine sterile, e controproducente ai fini del vero e proprio autosvelamento creativo del (vero) Sé, che è quello che più conta! In altre parole, troppo spazio alla maschera (lo Shyamalan attore), al ‘falso Sé’ (il personaggio di uno scrittore che ritrova la voglia di scrivere grazie al tremolio viscerale regalatogli da Story, ma che poi si mette a parlare [a farsi raccontare dalla Story della ‘new age’] delle cose che verranno (il ‘ci sarà una volta…’, la ‘nuova età’ che per il cristiano è roba già iniziata da 2000 anni…), dei successi e dei lutti in arrivo [memento mori… sì, ma anche ‘sufficit diei malitia sua’, caro Shyamalan, ergo: cogli l’attimo e dacci sotto a regalare al mondo altre splendide sceneggiature, sì, ma forse per questa volta bastava il diabolico ‘lupo cattivo’…]), che aumenta così le difficoltà di espressione artistica del ‘vero sé’ che vuole emergere in una maniera che non sia compiacente (l’ambiente sociale, e a livello artistico: compiacente la critica, che loda o meno, e compiacente il pubblico, che potrà o meno decretare il successo e la gloria commerciale).
Ma forse ho scritto solo una gran cacchiata intellettualoide… comunque, restando al punto in maniera più semplice: forse oltre all’’effetto Shyamalan’ a questo gran bel film ci voleva anche un po’ di ’’effetto grindhouse’, quel ‘c’era una volta’ riscoperto da Tarantino, il mettersi cioè lì a tagliare il più possibile per vedere cosa è ‘vera-mente’ fondamentale: ‘la signora in ammollo’ dura un’oretta e mezza, ma le favole della buonanotte – che, pur ottime, a prima vista possono sembrare una semplice variazione sul tema (dal prete di Signs al medico di questa volta…), pur non essendolo (voglio dire: secondo me chi ha liquidato in quattro parole il film non lo ha capito del tutto) - sono assai più brevi… Certo, almeno un fatto forse è assodato: dietro la 'maschera' - quella della bedtime story - si nasconde un film assai ambizioso, forse il più ambizioso, nella complessità della sua costruzione, fra quelli sinora realizzati da questo grande filmaker.
Che altro aggiungere: mi è piaciuto molto anche il prologo favolistico disegnato in bianco e nero (come i titoli di coda graficamente simbolici che gli fanno pendant) così come ho trovato ottima, simbolicamente affascinante, la scena di Cleveland a rischio di affogamento nella sala nascosta nella piscina, un ‘film nel film al centro del film’ che ben illustra anche in quel frangente - attraverso gli oggetti inanimati subacquei, ivi presenti, utilizzati intelligentemente dal protagonista (Giamatti mostra una gran freddezza: io al suo posto sarei diventato ‘gia matto’ dalla paura, oltre che morto annegato!) – l’altro messaggio di fondo del film: come gli oggetti ‘in-animati’, anche ogni abitante che ‘anima’ il ‘condominio multiculturale’ attorno alla piscina (il centro nevralgico, disegnato a forma di cuore!) ha un suo preciso scopo di vitale importanza (in quel frangente: per la salvezza di ‘Heep in the deep’, a sua volta rappresentato simbolicamente immerso nel cuore… della sua depressione).
Voto: 3 e ¾ su 4 (ma mi sento un tantinello come il Balaban senza cuore [o il Balaban morto d’infarto in ‘Harry a pezzi’…], a non dargli 4 su 4…).
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“Grazie per avermi salvato la vita” (Cleveland [‘nomen (II ordine) omen (I ordine)’, come alluso ‘etimo-logica-mente’ da Story, la ninfa che per sentirsi viva abbisogna dell’‘acqua… viva’ che viene dal cielo – quella del rigenerante (‘alla Evey’ dei Wachowski) temporale finale che spiritualmente bagna tutto e tutti (eccetto il ‘criticatrutto’, quello in segreto amante dei quadri di Teomondo Scrofalo, che la pioggia l’aveva… criticata) - o magari anche solo di quella che viene giù da una doccia…] Heep).
“[Allen//Block, rivolgendosi ai suoi personaggi finto-reali] Vi amo tutti quanti, davvero.
Mi avete regalato alcuni dei momenti più felici della mia vita.
Mi avete salvato la vita qualche volta.
E adesso, adesso, in realtà mi avete insegnato delle cose; io vi sono indicibilmente grato…”.
“[Rettore universitario] Cioè Il messaggio dell’autore è: ‘conoscete voi stessi, non vi prendete in giro. Accettate i vostri limiti, e avanti con la vita!’” (Harry a pezzi).
‘Gesù si alzò ed esclamò a voce alta: “Se uno ha sete, si avvicini a me, e chi ha fede in me, beva! Come dice la Bibbia, ‘fiumi d’acqua viva sgorgheranno da lui’”. Gesù diceva questo, pensando allo Spirito di Dio che i credenti avrebbero poi ricevuto. A quel tempo lo Spirito non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato innalzato alla gloria’ (Gv 7, 37-39).
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Post Scriptum:
Rivedendo alcuni spezzoni del film, ho notato altre autocitazioni di sue vecchie ‘fiabe’ che Shyamalan ha probabilmente inserito volutamente in questo suo ultimo film:
-la famiglia della prima scena del film, paralizzata dalla paura a causa di una (innocua) ‘creatura innominabile’, un po’ come gli abitanti di ‘The village’
-la torcia elettrica usata da Cleveland prima di incontrare Story, analogamente a quella usata da Gibson nei campi di grano di ‘Signs’
-la scena di Story seduta nella doccia che comunica attraverso il comportamento non verbale, come fa in una scena con B. Willis il bambino de ‘Il sesto senso’…
la ragazza nel water? wow, speriamo che nessuno tiri lo sciacquone
Non ci trovo molto da ridere...
heheh, era carina secondo me. io non ci ho mai pensato, sarà perchè ormai per me water è solo l'acqua in inglese e nient'altro (troppo inglese nuoce alla tua salute e a quella di chi ti sta intorno!), però non male come battuta =)
certo poi il film è bellissimo, a me è piaciuto un casino. però dai, una battuta carina... bravo reader! =)
Visto ieri.
Sfortunatamente ogni volta che vedo un film di Shyamalan non posso fare a meno di confrontarlo con il Sesto senso, che considero il suo film migliore oltre che un eccellente film di fantasmi.
Benchè privo di soprese o reali momenti di tensione, Lady in the Water rimane comunque una bella favola, ben recitato - ottimo Paul Giamatti - e ben diretto.
Devo dire che Shyamalan sa scrivere delle belle storie. Sarebbe curioso vederlo nelle sole vesti di scrittore, secondo me verrebbe fuori qualcosa di molto buono.
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