L'ultima battaglia di Eliodoro

Il logo del Comune di Catania, ben visibile l'elefante, simbolo della città
Il logo del Comune di Catania, ben visibile l'elefante, simbolo della città

Una notte di aprile dell'anno 726 Eliodoro meditava sulla sua vita, chiuso in casa. Era una notte cupa, senza vento, il cielo era nuvoloso e minaccioso, una notte atipica per Catania. Il mago ripensava a quello che aveva realizzato. Aveva sbeffeggiato potenti e nobili, i suoi poteri avevano ridicolizzato perfino l'imperatore. Ripensava con piacere a quella volta in cui era sfuggito perfino a una condanna a morte, con un incantesimo memorabile; in quell'occasione, la mannaia del carnefice era già alta sulla sua testa, quando si sentì un forte puzzo di zolfo. Eliodoro si rimpicciolì così tanto che si sciolse dai legami, entrò per una manica del carnefice uscendo da quell'altra. Poi riprese le sue dimensioni normali, girdando “Se mi volete sono a Catania!” e svanì nel nulla. Così lo stregone rifletteva sui suoi successi compiacendosi della sua abilità, ma un'ombra in tutto questo lo infastidiva. Era il vescovo di Catania, Leone, il Santo Taumaturgo, a cui si attribuivano facoltà miracolose, l'unico che avesse ancora presa sulle genti di Catania e che minacciava il suo dominio sul popolo. Doveva sconfiggerlo, in qualche modo. Sapeva che il giorno dopo il vescovo avrebbe celebrato la messa alla cappella di Santa Maria di Betlemme e si chiedeva come potesse approfittarne.

Il lacché Gaspare gli si accostò umilmente dicendo: “Eliodoro, ormai è molto tempo che ti servo. Credo che domani, se userai bene le forze in tuo possesso, potrai finalmente sconfiggere quel vescovo testardo, che si oppone a noi e al nostro Padrone. Magia e false credenze sono popolari in questo luogo, già dai tempi di papa Gregorio, che inutilmente ha tentato di debellarle. Ora però le cose stanno peggiorando, stiamo perdendo influenza. Devi impegnarti a fondo e combattere la battaglia decisiva contro il vescovo, esponendolo al pubblico ludibrio.” Eliodoro si drizzò orgoglioso, guardò Gaspare con arroganza e rispose: “Vedrai, domani la mia fama supererà quella di Simon Mago, avrò la mia vittoria! Ora lasciami solo, devo prepararmi in modo adeguato.”

Così il mago passò la notte tra meditazioni, evocazioni e invocazioni, finché non si sentì ricolmo di potere. Venne il mattino e un sole pallido e macchiato, come se avesse il vaiolo, sorse. Eliodoro ne trasse un buon auspicio per l'impresa. San Leone, come previsto, stava celebrando una messa solenne, alla quale era convenuta una gran quantità di fedeli. Ecco che apparve lo stregone che, insinuandosi tra la gente, cominciò a tessere i suoi perfidi incantesimi. A uno fece spuntare le corna, a un altro mutò il volto in quello di un maiale, altri ancora in scimmia o bue; alcune persone fece diventare calve, ad altre i capelli crebbero in lunghe e ricciolute chiome. Alla vista di questi prodigi qualcuno rideva, altri invece si tiravano indietro, per paura. L'incantatore, avanzando fino alle prime file, sfidò il vescovo: “Che diavolo perdi tempo con quelle fandonie, Leone! Vieni con noi a ballare in piazza!”

Il vescovo lo ignorò, continuando a pregare e a celebrare la messa. Quando terminò con l'Ite Missa Est, scese dall'altare e si avvicinò allo stregone, che continuava a deriderlo. Leone si tolse la sacra stola, gliela gettò al collo e tenendola saldamente per i due capi gridò: “Per Christum Dominum meum, nihil hic valebunt magicae artes tuae.” Eliodoro si ritrovò paralizzato da una forza sovrumana, non poteva né muoversi né parlare. Il vescovo ordinò allora di scavare una fossa di fronte alla chiesa, di colmarla di fascine e di appiccare il fuoco. Quando le fiamme furono alte il prelato entrò nel rogo trascinandosi dietro Eliodoro. In mezzo alle fiamme Leone rimase dritto, con aria solenne, sacra, perché il fuoco non lo attaccava. Lo stregone invece veniva divorato dalle vampe. Alla fine il vescovo uscì dall'incendio integro, mentre il diabolico mago era distrutto per sempre. Il sole, ora chiaro e luminoso, splendeva nel cielo, e la sua luce sembrava ricoprire il santo vescovo di un alone d'oro.

Così moriva il potente stregone, ma "U liotru", la sua cavalcatura incantata, sarebbe sopravvissuta fino ai nostri giorni…