Sappiamo delle difficoltà a cui va incontro uno scrittore italiano per tentare di emergere nel panorama editoriale. Tu sei un esordiente, per di più nel campo fantasy, dove è persistente una fastidiosa tendenza dei lettori all'esterofilia. Puoi dirci secondo te quanto contano rispettivamente talento, tenacia e fortuna? Hai ricevuto dei rifiuti prima di approdare ad Armando Curcio?
Supponiamo di voler accendere un bel falò (la scrittura), e supponiamo di avere una catasta di legna, non troppo voluminosa all'inizio (l'idea). Per appiccare il fuoco serve sicuramente una scintilla (il talento, l'estro) e destrezza nel far accendere la prima fiamma (l'incipit). Ma non finisce qui, il fuoco si estinguerebbe velocemente se non lo alimentassimo a dovere(tenacia e sudore) con altri pezzi di legna, nei tempi giusti. Dobbiamo evitare di gettarci sopra carta o foglie secche, farebbero una grande vampata, ma solamente per pochi istanti rischiando in seguito di soffocarlo.
E poi, senza dubbio, avere fortuna, tanta fortuna. Se tira il vento sbagliato, rischi che il tuo bel falò non si accenda mai. In questo caso, l'unica scelta è mettersi seduti, aspettare che la brezza si plachi e quindi cominciare da capo.
All'epoca commisi un grave errore, la troppa fretta. Spedii in visione il manoscritto ancora in forma embrionale e i responsi non furono affatto positivi. Per fortuna qualche critica negativa svegliò i miei sensi e mi spinse a tre mesi di duro lavoro per delineare una nuova stesura per Estasia. Con questa sono riuscito a convinto la Armando Curcio Editore.
A proposito dell'editore, normalmente i suoi titoli non riguardano il fantasy. È un'opportunità per gettarsi nella mischia? Come è nato il rapporto con te, che cosa l'ha convinto?
In effetti la Curcio non ha mai pubblicato romanzi fantasy, ma si confronta con ogni genere di scrittura. Il rapporto con la Casa editrice è nato in modo semplice, mandai un'email, chiedendo se erano interessati a visionare un manoscritto fantasy. Quindi spedii una sinossi e l'incipit, poi il romanzo per intero.
La Curcio ha creduto in questo manoscritto perché, oltre a considerarlo un racconto avvincente, ha compreso un messaggio importante per i giovani: vivere in una dimensione luminosa che ci spinge all'introspezione e ad aprirsi agli altri, senza temere dolore e difficoltà. Hanno recepito un messaggio piuttosto diverso dalla logica promossa dalla società di oggi, che può aiutare le nuove generazioni a crescere con una diversa consapevolezza.
Dalle tue riflessioni si capisce che dai una certa importanza all'evasione. Questo romanzo è stato anche un modo per evadere da certe situazioni difficili che stavi vivendo. Quanto è importante l'evasione e cosa pensi di chi definisce un romanzo d'evasione meno importante rispetto alla letteratura "alta"? Qual è il rapporto tra evasione e realtà?
La lettura, in primis, è un modo per evadere, a prescindere dal genere trattato. Quando leggo un buon libro, a volte capita che il mondo attorno a me perde i contorni e i suoi colori sbiadiscono… In quel momento vivo la realtà del libro, non più quella che mi circonda. Ma del resto questa caratteristica non è peculiare solo del fantasy, e trovo assurdo definire
"alta" una letteratura che non la contempla. L'evasione può spingere alla riflessione, può stimolare i sensi, invitare a raffronti con la nostra realtà, far notare dettagli che spesso diamo per scontati e che sono invece le pietre basilari della vita.
Ci sono alcuni autori che evitano le allegorie. Per quanto riguarda il tuo libro hai dichiarato che, al contrario, esso ne è pieno, e hanno significati profondi. E che ognuno trova il proprio. Tu hai scoperto quanto è importante riscoprire la propria fanciullezza, e i sentimenti più genuini e sinceri.
Credi che il successo attuale del fantasy dipenda anche da questi elementi? Forse in un'era ipertecnologica e frenetica il fantasy aiuta a riscoprire le cose "che contano"? Oppure più semplicemente è un momento del mercato, che segue i successi cinematografici del Signore degli Anelli e Harry Potter?
Dico la verità, mi piacerebbe provare l'esperienza di vivere in un'isola deserta, (ovviamente senza le telecamere di un reality), ma non credo sia possibile. Il contingente che mi circonda inevitabilmente influenza il modo di pensare e si riflette in ciò che scrivo. Le pagine di Estasia a volte si sono trasformate in una satira pungente, senza voler lanciare a ogni costo
un messaggio o cadere nel didascalico. Esistono fantasy che si rivolgono ostentatamente alla ricerca dell'originalità, dell'intreccio mai visto, con il rischio di tentennare in una trama affettata e artificiosa. Estasia è l'esatto opposto, è la re-invenzione dei sentimenti più semplici e genuini della vita, che spesso e erroneamente vengono additati come banali. Cambiano i tempi, la tecnologia avanza, ma una cosa non muta mai: il bisogno innato
dell'uomo delle più semplici emozioni quali l'affetto familiare, l'amicizia, l'amore. Non ci saranno mai leggi di mercato che potranno costringerle a schemi commerciali, perderebbero di freschezza mistificando la loro intrinseca verità.
Nel libro la figura di Bolak rappresenta, con le sue caratteristiche goffe e curiose, l'ironia, che tu hai definito "l'ossigeno della felicità quotidiana". Nella storia hai usato Bolak come espediente per "alleggerire" certe situazioni "pesanti", oppure è un personaggio pensato fin dall'inizio?
Il personaggio di Bolak non era presente nel libro di sedici anni fa. Quando ho ripreso a scrivere "Estasia" ho sentito la necessità di avere un amico che mi accompagnasse in questo viaggio, che suscitasse la mia simpatia, divertendomi con le sue battute sagaci e goffe. Così è nato Bolak, solo più tardi mi sono accorto come lui stesso generasse l'intreccio, senza che potessi premeditare una direzione diversa. Poi, giunto alla seconda stesura,
ho deciso di fare un discorsetto a quattr'occhi con la verde lucertola.
"Ehi Bolak, sei cosciente che in un libro non posso riportare tutte queste nefandezza che mi hai fatto scrivere?" gli ho detto. A queste parole, Bolak ha scosso la testa tonda, e mi ha guardato con occhi tristi, ciondolando le lunghe orecchie a terra.
"Ea! Ma io fono fatto cofì! E tu ha detto di effere mio amico…"
"Bah, fai un po' quello che ti pare." ho risposto. Caspita, mi aveva fregato di nuovo.
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