Nel nostro viaggio fra le creature mitologiche di ogni tempo, abbiamo già incontrato una figura che ha finito per rappresentare la bellezza femminile, quella fatale che porta gli uomini alla perdizione: la sirena.
Esistono altri esseri mitologici dall’accezione femminile, il male fatto donna che ghermisce gli uomini e gli strappa la carne, quando ormai ogni ricordo di bellezza è perso nel dolore e nella paura. Stiamo parlando delle Arpie, terribili donne-uccello nell’immaginario collettivo, in realtà esseri perlopiù malvagi la cui evoluzione nella mitologia classica ne ha cambiato forme e significato; senza mai peraltro perdere la loro accezione negativa.
Il vento e il Male
L’origine delle Arpie, il cui nome ci arriva dal greco arpazo, cioè rapisco; e già dall’etimologia della parola capiamo che ci troviamo davanti a un’allegoria della malignità femminile, che finisce per portare gli uomini alla rovina. Niente di strano nella società un po’ maschilista della Grecia arcaica; dove tuttavia non mancavano miti a rappresentanza dei molti difetti maschili, le infedeltà, bugie e prepotenze del padre degli dèi Zeus su tutti. In origine il mito si confonde un po’ con quello delle sirene, che come abbiamo visto avevano in origine testa di donna e corpo d’uccello, come in seguito verranno figurate le Arpie.
In origine le Arpie ci vengono presentate come divinità del vento, il che rende difficilissimo classificare una radice del mito, che potrebbe essere nato perfino in epoca preistorica. D’altronde non è difficile immaginarsi qualche antico pescatore di ritorno da una giornata per mare trascinare la piccola barca sulla spiaggia pietrosa, magari nell’ di Zante, a ovest della Grecia. Le reti sono state strappate dalla tempesta, e il pescatore inveisce contro gli artigli delle malvagie divinità del vento.
Le troviamo nell’Odissea di Omero (o chi per lui, naturalmente), nel libro XX. Rappresentano i venti che flagellano i marinai; il mare e il suo potere sugli uomini, un altro punto in comune con le sirene. Compaiono durante le tempeste in mare, dove con artigli terribili di consistenza non ben identificata rapiscono i poveri marinai.
Penelope, moglie di Ulisse in interminabile attesa, le cita pregando Artemide e ci ricorda che finirono per rapire le figlie di Pandareo per consegnarle a una vita di schiavitù sotto il giogo delle Erinni, terribili divinità greche della vendetta.
Le cita anche Telemaco nel libro I, riferendosi al padre Ulisse creduto morto, identificandole di fatto con la furia del mare.
Le Arpie della mitologia greca sono figlie della serpentina Echidna e di Tifone (come tanti altri mostri come la Chimera e il cane infernale Cerbero) e in qualche caso di Taumante de Elettra. Il loro numero per Omero è indeterminato, ma ne cita tre: Aello, “la Burrasca”, Ocipete, “Colei che vola veloce”, e Podagre “Artiglio rapido”.
Esiodo fissa il loro numero a tre, cambia il nome di Podagre con Celeno, l’”Oscura” e gli conferisce una splendida capigliatura. In questa prima parte della vita mitologica le nostre cattive fanciulle sono malvagie proprio come ce le aspettiamo, ma non hanno un aspetto mostruoso; anzi, non hanno un vero e proprio aspetto, sono più che altro una sorta di spiriti del vento, a volte donne alate, più o meno privi di consistenza corporea. Non che questo impedisca loro di ghermire la malcapitata preda di turno. Sono in definitiva i geni malvagi della tempesta e del fulmine.
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