Partiamo da un fatto: Jack Sparrow è morto ed è intrappolato nello scrigno di Davy Jones, un reame surreale tra purgatorio e inferno che assomiglia a un'allucinazione lisergica con cloni dello stesso Jack che borbottano fra loro e un esercito di granchi inesplicabilmente collaborativi.

Will vuole liberare il padre (Stellan Skarsgard) dai tentacoli di Davy Jones, e ancora non trova il coraggio per pare il passo definitivo con la bella Elizabeth Swann (Keira Knightley), che invece tenta di trovare il signore dei pirati di Singapore, Chow Yun-Fat, per salvare Jack.

Nella baruffa trova posto anche capitan Barbosa, sparito nel secondo episodio e di ritorno in splendida forma con l'obiettivo di riunire il consiglio dei pirati, formato da 9 nobili delinquenti dei mari e liberare la dea Calipso dalla forma umana in cui è imprigionata.

Non serve aggiungere altro, poiché le vicende si susseguono con ritmo incalzante e non avrebbe senso citare un episodio senza occuparsi delle reazioni che l'azione scatena.

Il terzo 'Pirati dei carabi: alla fine del Mondo’ (in originale 'At World's End'), alla fine, non è la fine del mondo.

Che impressione vi fa il bisticcio di parole?

Probabilmente la stessa che provocherà questa concitata mescolanza di rutilanti scene d’azione (lunghe, elaborate e numerose).

Stiamo parlando di due ore e 48 minuti di azione esplosiva, opulente scenografie e surreali sequenze; tradimenti, maledizioni e capricci; trame, sottotrame, digressioni e divagazioni.

Là dove il primo film era solare, il secondo fracassone e ammiccante, il terzo risulta immaginifico e frenetico, ma difficile da seguire. Molta carne al fuoco, come in Spider-Man 3, ma con quasi mezz’ora di differenza nella lunghezza totale (168 minuti contro 140 minuti).

Aver seguito con attenzione i primi due capitoli non aiuterà a trovare il bandolo dell'intricata matassa che gli sceneggiatori hanno ideato.

Ma i fan incalliti trascureranno probabilmente il fatto che il film si prende un tempo tremendamente lungo per arrivare dove ha deciso, e cercheranno di districare le diverse linee di trama, sopportando stoicamente il mal di mare.

A differenza del secondo episodio, gli spettatori appollaiati al cassero alla fine potranno gridare ‘terra!’. Ma questa potrebbe essere l'ennesima controtrama dei produttori della serie, che già stanno pensando al reclutamento del nuovo equipaggio per un altro giro in mare, il quarto’.

Nessuna sorpresa quindi per il finale aperto alla possibilità di ulteriori disavventure nei mari dei Carabi (a proposito: non fuggite all'apparire dei titoli di coda; occorre pazienza per scoprire cosa accade dieci anni dopo le avventure narrate).

L'imperativo di Alla fine del mondo’ sembra essere tenere le cose in movimento, a qualsiasi costo (anche il sacrificio del buonsenso), senza considerare che l’abuso d’azione finisce per diventare immobilismo e raggiunge un paradosso: non succede nulla perché succede di tutto.

Se Verbinski avesse lavorato di forbici riducendo il sottofondo romantico che caratterizza la storia di Davy Jones e della dea Calipso, linea narrativa quasi superflua ai fini della vicenda, il film ne avrebbe guadagnato.

Alla Fine del Mondo diventa interessante quando si prende qualche istante di pausa. In questi momenti Depp ha spazio per sfoggiare le sue risorse di commediante e tiene autoritariamente il timone, anche quando il peso puro e semplice degli altri protagonisti rischia di trascinarlo fuori bordo.

Fra loro Keith Richard in una breve ma memorabile interpretazione di Capitan Teague, trasandato custode del Codice piratesco e mentore di Jack. Il rimbombo profondo della sua voce e gli occhi bistrati che si aprono come le porte dell’inferno lo rendono autenticamente pauroso. È divertente vedere Richard pavoneggiarsi, e godere della riunioncina di famiglia (vediamo per la prima volta la cara vecchia mamma di Jack).

Anche Capitan Barbossa ruba spesso la scena a Jack Sparrow, e Rush è ammirevole e perfettamente calato nella parte.

Tutto ciò che amiamo dei film pirateschi, la sapiente miscela di avventura, libertà e spacconeria, è ancora presente nella Fine del Mondo, che aumenta anche la dose fantasy, e cerca timidamente di proporre alcuni argomenti d’impegno sociale (Beckett e il governo tirannico), ma i temi del film sono soffocati dall'utilizzo smodato degli impeccabili effetti speciali.

La storia rimane stravagante e divertente come i primi due film: una sontuosa festa per gli occhi, una frenetica cavalcata che però somiglia più a una bizzarra prova del nove mnemonica e a un lunghissimo spot pubblicitario per l'ormai quasi certo quarto capitolo della serie.

Dal punto di vista tecnico tutto è perfettamente in ordine, i gargantueschi set sono impeccabili e Zimmer rielabora piacevolmente la famigliare colonna sonora.

In questo terzo episodio dal mondo dei morti torna tutto indietro, tranne forse un poco d’ispirazione.