“Io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte” affermava Max von Sydow in una delle scene più intense di Il settimo sigillo. Era il 1956, e il cinema consacrava uno dei suoi nuovi miti.

Qualche giorno fa, il 30 luglio, si è spento Ingmar Bergman, il creatore di quella leggendaria partita a scacchi.

 

Figlio di un pastore luterano, Bergman era nato a Uppsala il 14 luglio del 1918. Nei primi anni ’40 aveva iniziato a lavorare come regista teatrale, attività che lo avrebbe visto impegnato durante tutta la vita. E proprio nel teatro si forma quella compagnia di attori che compariranno più volte nei suoi film. Fra loro il già citato Max von Sydow ma anche Igrid Thulin, Harriet Andersson, Erland Josephson e Bibi Andersson.

 

Il primo film, per il momento solo come sceneggiatore e assistente alla regia, è Crisi, del 1946. Il successo internazionale arriva solamente dieci anni più tardi, con Il settimo sigillo, che ottiene un premio speciale al Festival di Cannes.

In 36 anni di attività cinematografica Bergman realizzerà ben 40 film, molti dei quali sono annoverati fra i capolavori del cinema. Fra i tanti citiamo Monica e il desiderio (1953), Il posto delle fragole (1957), Come in uno specchio (1960), Luci d’inverno (1963), Il silenzio (1963), L’ora del lupo (1968) e Fanny e Alexander (1982), l’opera parzialmente autobiografica con la quale ha dato l’addio al grande schermo.

A queste pellicole sono da aggiungere numerose regie televisive e diversi film per i quali, pur senza occuparsi della regia, ha realizzato le sceneggiature.

 

Fra i suoi temi: la Vita, la Morte, la follia, la malattia, il peccato, la fede contrapposta al vuoto lasciato dalla sua perdita, la presenza di Dio e il senso dell’esistenza, ma anche lo scorrere del tempo e il peso della memoria, i rapporti di coppia e fra genitori e figli, la scoperta della sessualità, l’incomunicabilità fra le persone.

 

Molte le opere dalla forte carica visionaria o surreale, come Il posto delle fragole, in cui i sogni dell’anziano medico sono turbati da orologi senza lancette e da visioni della sua stessa bara, o L’ora del lupo, nel quale le allucinazioni del pittore, ancora Max von Sydow, prendono corpo fino a manifestarsi in tutta la loro sconvolgente concretezza a sua moglie. Demoni, uomini-gufo che potrebbero essere usciti dal pennello di Hieronymus Bosch, uomini-ragno che si arrampicano sui muri escono dalla mente di una singola persona per trovare una loro sconvolgente concretezza.

Ugualmente visionaria sarebbe stata la sua versione del mozartiano Il flauto magico, realizzata nel 1974.

Ma anche in un film in costume come La fontana della vergine, in cui è tratteggiata una vicenda medioevale perfettamente aderente a quella che poteva essere la realtà di quei secoli, c’è spazio, proprio nelle scene finali, per un elemento spiegabile forse solo alla luce della Fede, certo a quella del soprannaturale.

Un imprecisato Medioevo funge anche da cornice e ambientazione per Il settimo sigillo, l’opera con la quale vogliamo ricordare qui il regista svedese.

 

Siamo probabilmente nel XIV secolo quando il cavaliere Antonius Block torna dalle crociate insieme al suo scudiero Jons, il bravissimo Gunnar Bjornstrand.

La scena si apre su una spiaggia deserta circondata da alte scogliere. Il cavaliere si prepara a ripartire quando viene fermato dalla più improbabile delle visioni. Si tratta di una figura solitaria, dal volto bianchissimo e con il corpo avvolto in un enorme mantello nero. È la Morte, venuta a reclamare una nuova anima.

 

"Fu una mossa artistica alquanto delicata e pericolosa, che poteva fallire” riconosce Bergman in Immagini, il libro nel quale racconta la propria esperienza cinematografica e analizza i suoi film. “All'improvviso, un attore dal volto bianco appare, vestito di nero, e annuncia di essere la Morte. Tutti hanno accettato il fatto drammatico che lui fosse la Morte, invece di dire – Oh andiamo, non prenderci in giro. Vediamo benissimo che sei un attore di talento dipinto di bianco e vestito di nero. Non sei la Morte. – Ma nessuno protestò”.

 

Block accetta senza problemi la realtà dell’apparizione e il significato che questa ha per lui. Tutto quello che chiede è una dilazione, per poter trovare una risposta ai dubbi che tormentano la sua anima e per compiere “un’azione che abbia un senso”.

Inizia così la partita a scacchi, con in palio la vita del cavaliere. Bene e male, vita e Morte, il bianco e nero degli abiti e della scacchiera. Contrasti forti, essenziali, che non lasciano alcuno spazio per i compromessi.

 

La Morte sceglie di giocare con i pezzi neri. Quando Block glielo fa notare l’inquietante figura risponde con semplicità disarmante “Appropriato, non trovi?”.

Dopo la prima mossa il cavaliere e il suo disincantato scudiero riprendono il cammino. Sulla loro strada incontreranno la morte nelle sembianze concrete di una pestilenza e un carrozzone con una famiglia di attori girovaghi, il cui capofamiglia, Jof, ha spesso delle visioni. In seguito raggiungeranno una chiesa sulle cui pareti un pittore che sta affrescando una Danza Macabra.

 

Proprio dagli affreschi medievali Bergman ha tratto la prima ispirazione per realizzare questo film: “Avevo davanti tutto quello che la mia fantasia poteva desiderare: angeli, santi, draghi, profeti, demoni, bambini, animali mostruosi” ha raccontato. “E tutto questo appariva circondato da un paesaggio celeste, terrestre e sottomarino, di una bellezza strana e tuttavia non ignota. In un bosco stava seduta la Morte e giocava a scacchi col Cavaliere. Una creatura stracciata, con gli occhi sgranati, si arrampicava su un albero al di sotto del quale la Morte si dava da fare con una sega per farla precipitare.”

Immagini che torneranno, in gran parte, nella sua opera.

 

Nel confessionale, al posto di un sacerdote, Block ritrova la Morte, pronta ad ascoltare tutti i più intimi segreti della sua anima.

“Voglio parlarti il più sinceramente possibile, ma il mio cuore è vuoto” confessa, ma la Morte, per lui, non ha alcuna risposta. Tormentato dai dubbi, il cavaliere prosegue: “Per la mia indifferenza verso il prossimo mi sono isolato dalla compagnia umana. Ora vivo in un mondo di fantasmi, rinchiuso nei miei sogni e nelle mie fantasie”.

“Eppure non vuoi morire”, ribatte la Morte. “Sì che lo voglio” si difende il primo, dicendo che tutto ciò che vuole è sapere, non essere più tormentato dai dubbi e dall’assenza di Dio che percepisce in tutta la sua spaventosa enormità.

 

La sua ricerca lo porterà a interrogare una strega riguardo al Diavolo nel tentativo d’incontrarlo, mentre Jons s’imbatterà in un personaggio proveniente dal loro passato e la finzione teatrale di Jof e della sua compagnia prenderà corpo fino a divenire realtà. Il teatro, così come già era stato per la partita a scacchi e per l’affresco della Danza Macabra, diventa un’immagine del mondo.

 

Il viaggio del cavaliere si concluderà con il ritorno a casa, e con la sconfitta. Ma per un destino che si compie rimane comunque la speranza, rappresentata da Jof e dalla sua famiglia. Grazie a una decisione improvvisa e imprevedibile di Block, e a una delle visioni dell’attore, la piccola compagnia riesce a salvarsi, e ad assistere alla danza finale.