“Le Rocche erano state erette a guardia delle pianure per difendere la regione dall'antico nemico, il Regno di Anhard, che calando dal nord, al di là delle montagne, in passato aveva sempre aggredito i villaggi depredando raccolti e bestiame e lasciando le genti prive di ogni sostentamento ad affrontare il gelido inverno. Ogni Rocca era retta da un Signore che possedeva un suo esercito pronto a intervenire in caso di pericolo. E grazie alle Rocche i villaggi delle pianure avevano finalmente conosciuto un periodo di pace e prosperità. Nessuno avrebbe immaginato che una nuova invasione sarebbe giunta da sud: le orde di guerrieri meridionali comandate dallo spietato ex fabbro Col Istor si stavano impossessando una dopo l'altra di tutte le Rocche superando inesorabilmente il valore e l'eroismo delle guarnigioni. E ora, prima dell'arrivo dell'inverno che fermava ogni attività bellica, era venuto il momento della mitica Rocca di Tornor...”
Elizabeth Lynn (1946), autrice di La Rocca di Tornor (Watchtower, 1979), narra una storia all’apparenza classica nel mondo del fantasy. Un invasore. Un regno conquistato. Un principe detronizzato. Un esilio. E infine la ricerca della rivalsa. In meno di trecento pagine traccia un romanzo che, se letto solo a questo modo, ci porterebbe a catalogarlo come uno fra i tanti: pura cappa e spada, si potrebbe dire; avventura (nemmeno troppo serrata) e un mondo fantasy con i suoi cliché (e, addirittura, privo di magia, quella vera, con la “M” maiuscola).
Se, abbiamo detto. Perché c’è qualcosa che lo rende diverso da molti altri lavori dello stesso genere. I suoi personaggi. Sono veri, mossi da sentimenti che mutano nel corso delle pagine, che cambiano, si dolgono per scelte sbagliate, pensano e agiscono mossi dal cuore e dalla ragione, in una battaglia senza requie, e che alla fine si presentano per quello che sono: puri e semplici esseri umani. Ma c’è dell’altro.
La Lynn ha esordito nel mondo della narrativa con un romanzo non fantasy, intitolato A Different Light, dove raccontava con garbo di una relazione omosessuale. L’impronta di questo primo volume si è trasmessa anche alle opere successive, e nella Rocca di Tornor sono presenti personaggi dichiaratamente omosessuali (come le due guerriere/amanti Norres e Sorren) e altri che, con l’andare delle pagine, rivelano sentimenti complessi e sfaccettati.
E’ il caso di Ryke, punto focale del romanzo. Il più complesso dei caratteri qui presenti. Vediamo lo svolgersi della vicenda con i suoi occhi, lo seguiamo passo passo, impariamo a conoscerlo, e mentre la storia si fa sempre più chiara (a volte fin troppo prevedibile), il comandate della rocca di Tornor – uomo di guerra, soldato e condottiero lontano dal classico cliché fantasy – mostra sempre più le sue debolezze, timori, dubbi.
Difficile trovare in un racconto, di qualsiasi genere, di qualsiasi autore, un uomo (un guerriero) capace di piangere, oltre che ferire a morte con una spada. Qui c’è. E c’è anche il turbamento profondo che lo spinge verso la bella Sorren, ma che irrimediabilmente lo tiene legato al suo principe, Errel, da un giuramento che va ben oltre la classica fedeltà per il proprio signore. Una lotta senza soluzioni.
Personaggi, insomma, non ovvi e che spiegano la vittoria, nel 1980, di questo romanzo al World Fantasy Award. Vittoria salutata da importanti autori di successo nel campo del fantastico con queste lusinghiere parole:
“Una meravigliosa miscela di fantasy e realismo” Marion Zimmer Bradley
“Un’opera sorprendente” Theodore Sturgeon
“Un eccezionale uso dei termini e una elegante veduta d’insieme dell’azione” Vonda McIntyre
“Originale, potente, evocativo” John Varlery
“Un romanzo profondo, vigoroso, sorprendente” Robert Silverberg
Hanno ragione ma, a nostro avviso, solo a metà. Il romanzo è senza dubbio diverso da molta altra letteratura fantasy che c’è in circolazione, ma risente di alcune pecche. Prima fra tutte, una trama relativamente lineare, riassumibile come abbiamo fatto a inizio recensione. C’è inoltre un solo vero colpo di scena, a otto pagine dalla fine del volume, e sebbene sia un colpo di scena davvero sorprendente questo non ci fa dimenticare le prime cento pagine del romanzo che risentono di una certa lentezza.
Ancora, non passa inosservato che il romanzo è letteralmente “figlio del suo tempo”. Pubblicato per la prima volta nel 1979, circa trent’anni fa, risente di uno stile che ci piace definire “corposo”. Frasi lunghe, periodi massicci, punti e virgole a profusione. Se ci si fermasse un attimo sul romanzo e su come è stato scritto, e si volesse poi fare un confronto con ciò che viene scritto oggi, basterebbe prende in mano un libro di George R.R. Martin, o per restare a casa nostra di Alan D. Altieri e Licia Troisi, e ci si accorgerebbe di come lo stile (e il gusto dei lettori) si sia notevolmente modificato nel corso degli anni. In meglio o in peggio non sappiamo dirlo, perché tutto sta sempre al piacere e al sentire di chi tiene un libro fra le proprie mani.
La Rocca di Tornor resta però un libro piacevole e fuori dal comune, senza dubbio. Ha slanci narrativi che si protendono verso un futuro non ancora pienamente raggiunto, e ritrosie che lo riconducono agli ultimi anni ’70. Una storia nella migliore tradizione fantasy, ma con protagonisti unici e originali: veri, come di rado capita di leggere.
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