Dal capitolo UNO – Non piangere sul latte versato

Era peggio di quello che aveva immaginato. Il tempo trascorso da quando il latte aveva inzuppato il quaderno aveva fatto aderire le pagine tra loro. Dovette perfino staccare con delicatezza il quaderno dalla credenza, ma la copertina cominciò a strapparsi e metà di essa restò incollata al mobile.

«Allora, si è rovinato molto?» chiese Elena, mentre Andrea teneva tra le mani il quaderno ancora gocciolante. Penelope badava a non mandare sprecata una sola goccia di latte.

«Rovinato? Ma se è da buttare! Come posso portare a scuola un quaderno che non si può nemmeno sfogliare? Avevo quasi terminato le espressioni per domani! E ora devo rifarle tutte, per colpa di quella lì!» esclamò Andrea, indicando la sorella che si era nascosta dietro la gonna della mamma «Non posso nemmeno ricopiare quelle già fatte! Guarda: non si apre proprio!» e mostrò il quaderno alla madre.

«Beh, però anche tu dovresti metter via i tuoi quaderni.»

«Cosa? Stai a vedere che la colpa è mia, quando invece Sara ha deliberatamente versato il suo latte sul mio quaderno! Avanti, Sara, dì che lo hai fatto di proposito!»

«Mi avevi fatto piangere, ecco perché l’ho fatto! Non sei stato bravo con me e io non sono stata brava con te, così siamo pari.» fu la confessione della bambina.

«Cos’è questa storia che l’hai fatta piangere? Mi vuoi spiegare cosa è successo tra voi?» chiese la mamma.

«Non è vero niente! Ha fatto un capriccio, come sempre. E per ottenere quello che voleva si è messa a piangere! Ah, aspetta! Dimenticavo che si è rovesciata del latte anche sui suoi pantaloni e ha macchiato di cioccolata la mia felpa e i pantaloni puliti che le avevo appena cambiato. Sono stato fin troppo calmo con lei, lo sai che ce la metto tutta. E ecco come mi ringrazia questa bimbetta dispettosa! E non posso nemmeno ricopiare le espressioni già risolte!»

«In ogni caso tutto questo non sarebbe successo se tu avessi riposto il quaderno in camera tua o chiuso nello zaino o, insomma, in un posto dove lei non arriva! Sai che è piccola e che non capisce le conseguenze di quello che fa.»

«No, non sarebbe successo se io avessi la possibilità di terminare i miei compiti senza l’obbligo di fare da baby-sitter a una sorella ottusa e capricciosa, che si diverte a farmi i dispetti!»

«Andrea, per favore, non ricominciare! Mi fai sentire in colpa ingiustamente! Mi spiace costringerti a occuparti di Sara. Sai bene che devo aiutare papà in ufficio, almeno finché non potrà permettersi una segretaria. E poi si tratta solo di due ore del tuo pomeriggio, mentre forse non hai idea di quanto ci costerebbe al mese qualcuno che la guardasse al posto tuo.»

«Lo so! Anch’io ho una coscienza. E’ solo per puro senso del dovere e collaborazione familiare che sacrifico i miei pomeriggi e accetto di stare con Sara, ma non vedo l’ora che questa storia finisca e che io sia libero da un impegno così, così… nauseante!»

«Non esagerare! Adesso, forse, è il momento peggiore. Sara è ancora piccola e tu non vedi grandi vantaggi dal fatto che lei ci sia, anzi, ti pesa il fatto di occupartene, ti capisco.»

«Non vedo vantaggi perché non ci sono! Non ne posso più! Lo sai che spesso penso proprio che sarebbe stato molto meglio per me se lei non fosse mai nata? Tu e papà avete deciso tutto da soli. Perché non avete chiesto il mio parere, prima di regalarmi una sorellina con un decennio di ritardo? Ormai mi ero già abituato e stavo benissimo da solo!»

«Oh, Gesù! Non parlare così davanti a lei! E’ piccola, ma non è mica stupida!» esortò la mamma, sollevando Sara, che aveva già gli occhi lucidi. «E’ una situazione difficile per tutti, questa. E io devo esigere collaborazione da parte tua, che sei maturo abbastanza da capire quali sono i tuoi doveri. La scelta mia e di papà di darti una sorella è stata difficile, ma siamo sicuri di aver preso la decisione giusta e presto o tardi lo capirai anche tu. Anche se non ci vuoi credere adesso, sappi che in futuro apprezzerai moltissimo il fatto di non essere solo e di avere una sorella sulla quale contare.»

«Oh, sì. Come tu apprezzi la zia Elisa? Quante volte ancora trascinerai tutti noi giù per

la Cisa, solo per ascoltare le sue ciance?»

«Ma è mia sorella! Le voglio bene e sento il bisogno di vederla almeno due o tre volte l’anno. E’ una cosa naturale. Arriverà il momento che anche tu sentirai il legame che ti unisce a Sara.»

«Sono sempre i soliti discorsi! Mi dici sempre che in futuro capirò, che apprezzerò. Ma al mio presente non ci pensi mai?» senza accorgersene Andrea stava alzando la voce. «Sono costretto a studiare dalle due alle quattro e dalle sei alle sette, non mi rimane tempo per la mia vita sociale, esco un po’ solo il sabato sera e Giulia si lamenta perché in pratica ci vediamo solo a scuola. Pensa un po’! Potrei passare più tempo con la mia ragazza invece che con una sorella rompiscatole e combinadisastri!» ormai Andrea aveva perso il controllo e stava urlando alla mamma tutta la sua rabbia.

«Mi ha chiamata rompiscatole! Non mi vuole! Te l’ho detto che è cattivo!» singhiozzò Sara, stringendosi al collo della mamma.

«Ecco che cosa hai ottenuto, visto? Che cosa ci guadagni in tutto questo? Ti dico sempre che il modo migliore per superare le avversità è avere pazienza e usare la logica. Il tuo quaderno è rovinato? Non perdere tempo a arrabbiarti e a giustiziare il colpevole, ma mettiti subito al lavoro per rimediare.» Elena si sentiva un’incudine sul quale battevano contemporaneamente le grida di Andrea e il pianto di Sara. Inspirò a fondo, cercando l’energia necessaria per mantenere la calma e le parole migliori per confortare entrambi i figli. «Ascoltami, una volta per tutte: questa storia finirà, te lo prometto. Ma fino allora, ho bisogno della tua collaborazione e comprensione. Non c’è altro da fare. Accetta questo con tolleranza e supererai tutto il periodo nel modo migliore! E se vuoi stare di più con Giulia, perché non le dici di venire qua, a aiutarti con Sara? Di solito alle ragazze piacciono le bambine.»