«Mamma, ma non capisci? Io vorrei stare da solo con Giulia, vorrei uscire con lei, portarla al cinema, offrirle un gelato o anche solo andare a passeggio. Tutte cose che fanno i ragazzi della nostra età. Invece sono bloccato qui! Per me anche solo due ore sono preziose e mi sento come… come in gabbia! Perché so che in ogni caso hai ragione tu. Non c’è alternativa, tocca a me badare a Sara e devo farlo. Ma non puoi meravigliarti se dentro di me penso che la mia vita sarebbe stata migliore se lei non fosse mai nata, perché è la verità!» Andrea aveva pronunciato quell’ultima frase con tono veramente duro e Sara si era messa a piangere più forte, direttamente dentro l’orecchio destro della madre.

«Andrea! Non dire mai più una cosa del genere! E ora sparisci in camera tua, senza farti vedere fino all’ora di cena!» lo sguardo severo e penetrante della mamma diceva molto di più di quelle parole pronunciate a denti stretti.

«Ah, non temere! Non scenderò nemmeno per mangiare perché QUALCUNO mi costringe a ricopiare una trentina di pagine di matematica e, oltre al tempo, mi mancherà sicuramente anche l’appetito!» così dicendo, Andrea girò su se stesso, corse verso le scale, salì i gradini tre a tre e, arrivato in camera sua, sbatté la porta più forte che poteva, per essere certo che di sotto avessero sentito.

Dal capitolo DUE – La fuga

Dal rumore di zoccoli, aveva capito che stavano sopraggiungendo altre due guardie. Erano abbastanza lontano, ma per timore di essere uditi, Remo portò un dito alla bocca in un rapido gesto che intimava il silenzio. Le guardie passarono, ma non si fermarono con le altre quattro e procedettero oltre, fino al cuore del villaggio, dove si apriva un largo spiazzo con una fonte nel centro. Quella piazza in tempi andati aveva assistito a festosi mercati e a giochi spensierati di bimbi, in attesa che le madri lavassero il bucato. Ora era cupa e desolata.

Appena fu possibile parlare di nuovo senza nessun rischio, Remo continuò. «Zelach è un mostro, un demonio spietato! Si prepara per conquistare altre terre e per dominare altri popoli! E’ impossibile pensare di ribellarci! Sappiamo che non è più nemmeno… umano! Quanti anni dovrebbe avere adesso? Centoventi? Ah, no, dammi retta Liot, fa ragionare tuo fratello.»

«Sta solo dicendo quello che pensiamo tutti. Non possiamo continuare a far passare gli anni con sottomissione.» poi Liot si rivolse al fratello. «In ogni caso devi riuscire a dominarti, Soral. Se mai tenteremo qualcosa, ci vorranno mesi per convincere un po’ di persone e per decidere cosa fare.»

«Ecco, lo sapevo, ti sei già arreso.» il fratello sembrava disperato. «Io… io mi sembra di impazzire! Non posso pensare di continuare a vivere così!» diede un calcio violento ad una pietra sul sentiero, che rotolò lontana. Quel rumore fu udito dalle quattro guardie, che voltarono la testa nella sua direzione.

«Per carità, Soral, non farlo mai più.» gli disse Liot. «Ricordati che, anche se schiavo, sei vivo! E puoi rimanerlo, se non commetti sciocchezze.»

Continuando a camminare senza dire più una parola, raggiunsero il gruppo di soldati. Il primo di loro puntò il dito verso Soral e parlò con voce ferma e gelida. «Fai fare a mani e piedi solo quello che ti è ordinato, miserabile.»

Liot si portò davanti al fratello, le braccia allargate per proteggerlo. «Stava per cadere, è stato un incidente.» mentì.

«Non ti è stato chiesto di parlare!» gridò la guardia. Nei suoi occhi fu chiaramente visibile quanto fosse disumano. «E ora avanti, in silenzio, pezzenti!» concluse con tono minaccioso. 

Soral si costrinse a stringere i denti forte per non rispondere, fino a sentire tutti i muscoli del collo paralizzati dalla tensione. Procedettero oltre e superarono le Ombre Tetre.

I contadini che arrivavano davanti alla propria abitazione si staccavano dal gruppo e, ubbidendo ad un muto comandamento, andavano a chiudersi in casa.

Anche Soral e Liot si diressero verso la loro casa, ma si fermarono davanti alla porta, in attesa, guardando le persone che avanzavano. Era chiaro che aspettavano qualcuno. In coda si trovavano gli uomini più anziani, insieme alle donne e ai ragazzini in grado di lavorare nei campi. I bambini più piccoli rimanevano a casa con la mamma o i nonni e avevano il compito di accudire alle bestie.

Un solo soldato a cavallo, sufficiente per controllare i più deboli, chiudeva la fila. Un vecchio ed una donna che lo aiutava a procedere lasciarono il gruppo e si diressero verso i fratelli. La donna somigliava moltissimo ai due ragazzi, soprattutto a Soral, che aveva tratti ancora poco virili. Ma tutti e tre avevano molto in comune: capelli corvini e crespi, labbra carnose e grandi occhi blu. Era la loro madre. Il vecchio al suo fianco doveva essere suo padre o il suocero, tanto era il rispetto con cui lo aiutava. Le giornate nei campi erano decisamente troppo pesanti per l’età che dimostrava, ma c’era molta dignità nel suo sguardo e nel suo modo di avanzare lento ma eretto. Giunto vicino ai giovani, lasciò il braccio della donna per farsi sorreggere dai nipoti e con loro entrò in casa. Le guardie attesero che tutti rientrassero, poi si ritirano percorrendo la strada che portava al ponte sul Roosa, il fiume che separava il villaggio e i campi coltivati dai prati intorno al castello. Sparirono nel buio, inghiottiti dall’oscurità, verso il castello del loro signore.

 

Era calata la sera. Nella grande stanza comune dove cucinavano e pranzavano, la donna si stava affaccendando per preparare una magra zuppa di patate. Oltre a quella, nella casa c’erano solo altre due piccole camere: in una dormivano i due giovani e nell’altra la loro madre. Il nonno aveva scelto di dormire in un angolo della stanza principale. Aveva sempre sostenuto che nessuno doveva condividere il respiro di un vecchio per tutta la notte.

Liot aveva già affettato del pane nero e sistemava le scodelle sul tavolo. Soral stava parlando col nonno, seduto a riposare su una panca contro il muro. Anche in quella conversazione il ragazzo si agitava e chiedeva comprensione per il suo desiderio di ribellione.

«Sono stanco di sopportare tutto questo, nonno. Vorrei essere un contadino libero che raccoglie i frutti del suo lavoro con gratitudine e devozione per la terra che glieli offre, invece sento dentro di me crescere giorno dopo giorno il disprezzo per questi campi che ci fanno schiavi.»