La vicenda è ambientata nella Danimarca del sesto secolo e Herot, la grande sala voluta dall’anziano re Hrothgar, un grasso Dioniso con il volto di  Anthony Hopkins, è devastata dal mostruoso Grendel,  infuriato a causa dei rumori e delle musiche che riesce a percepire a grandi distanze. Un problema di cattivo vicinato che il mostro risolve in modo cruento, squartando e ingoiando gli impavidi vichinghi, ma lasciando incolume il re.

Il terrore continua fino a che non giunge il guascone Beowulf, che con i suoi 14 coraggiosi compagni affronta il mostro nella grande sala e gli strappa un braccio.

Grendel zoppica nel suo covo, dove la madre – che non ha nome - lo guarda morire. Quando Beowulf scopre il nascondiglio, la madre del mostro si rivela nelle forme di una bellissima seduttrice. Tornato da re Hrothgar, Beowulf dichiara di avere liberato il regno da tutti i demoni, ma riporta solo la testa di Grendel, e un segreto che custodisce sino alla vecchiaia. Presto scopre che il costo delle sue azioni è molto più alto del guadagno. Anni più tardi, quando ormai è un re al crepuscolo della vita, il regno torna a essere minacciato da un dragone e il guerriero è costretto a combattere un’ultima battaglia per salvare la sua terra e riscattare il proprio destino.

 

Non sopporto gli occhialini bicolore da tenere sul naso per tutta la durata di un film 3-D (non è un caso che porti lenti a contatto), quindi la versione che ho visto è quella tradizionale. Mi sono perso l’estremo realismo della bava di Grendel che minaccia di colare sulla mia testa, e la punta della lancia uscire dallo schermo e minacciare l’incolumità del mio occhio (ormai un archetipo di questo tipo di cinema). Pazienza.

Non sopporto neppure la motion capture, che trovo riuscita solo nel Signore degli Anelli (il sorprendente Gollum), con il quale i collegamenti sono numerosi. Chi pensa che Zemeckis stia prendendo in giro Peter Jackson, occorre sapere che lo stesso J.R.R. Tolkien si è ispirato al Beowulf. Non sorprende quindi che Grendel (Crispin Glover), tragica figura di un mostro più triste che spaventoso, somigli molto a Gollum (o viceversa).

Alcuni attori che hanno prestato voce e fattezze sono immediatamente riconoscibili:

Anthony Hopkins nei panni del vecchio e dissoluto re danese Hrothgar;

John Malkovich, Unferth, ipocrita consigliere del re; 

Angelina Jolie, madre di Grendel, una bestia concupiscente che nella sua forma  umana e placcata d’oro (non avrebbe sfigurato accanto a Sean Connery in 007 Goldfinger) ha un corpo paradisiaco e persuasivo che riesce a superare in fascino e sex appeal persino la bomba Jessica Rabbitt. Dotata di coda serpentiforme, ha un solo esilarante difetto: i piedi a forma di scarpa dal tacco alto (scivolone di Zemeckis).

Altri sono più difficili da identificare: nei panni di Grendel un mostro umanoide enorme e scarnificato, ipersensibile ai suoni, emarginato e torturato, c’è Crispin Glover, che ha già lavorato con Zemeckis in Ritorno al futuro.

Ray Winstone, il tarchiato e brillante attore britannico, è stato trasformato in un fanatico, supereroe biondo dal fisico perfettamente depilato. Bello e vanaglorioso, Beowulf si spoglia allegramente per affrontare il mostro in uno scontro dalle impressionanti e improbabili coreografie acrobatiche.

 

In Polar Express, sempre di Zemeckis, i protagonisti avevano la tipica fissità degli zombi; qui le cose sono migliorate, ma ancora i movimenti risultano legnosi e gli sguardi a volte strabici.

Zemeckis si fa attrarre dalla sirena della Motion capture come Beowulf cade vittima della bellezza ingannevole della madre di Grendel, poco importa se questo compromesso tra cartone animato e recitazione dal vivo è ancora insoddisfacente, e ci allontana dai personaggi. Il regista si è innamorato del suo giocattolo e c’è da scommettere che continuerà su questa strada.

Bisogna però riconoscere che la CGI nasce solo 20 anni fa, e ora si è arrivati a tradurre quasi ogni cosa in immagini cinematografiche. Intendiamoci, nel film ci sono panorami che sfidano la capacità di discernere tra la realtà fotografica e grafica computerizzata, movimenti di macchina che sembrano autentici e danno la sensazione che esista un set medievale.

Zemeckis cerca di combinare efficacemente la forma narrativa più antica nella lingua inglese con la tecnologia più moderna, un processo che genera un lavoro singolare, ma che soffre dell’evidente limite di non riuscire a ricreare figure umane senza farle sembrare artificiose. Nonostante il miglioramento, i personaggi a volte sembrano ‘assenti’. 

Il Beowulf di Neil Gaiman e Roger Avary funziona. Si prende libertà intriganti dal dal poema epico, e dà una spiegazione ad alcuni passi oscuri dell’originale, con estrapolazioni interessanti. Gli scrittori hanno introdotto nella saga un'aura di sessualità e umorismo, corruzione e concupiscenza che modernizzano la Danimarca del sesto secolo e gettano una luce nuova sulle gesta del re guerriero.

Beowulf emerge come eroe più moderno: fallibile e tragico.

La sceneggiatura è senza dubbio la cosa migliore della pellicola.

Il film non dà la stessa soddisfazione del pugno che Marty McFly assesta all’insopportabile Biff Tannen, ma aggiunge una nuova sfumatura al significato della parola epicità. Da vedere senza dubbio, se non altro, per premiare la dedizione di Zemeckis al fantastico.