Come aveva promesso agli appassionati di tutto il mondo, Brandon Sanderson si sta dedicando alla rilettura degli undici romanzi che attualmente costituiscono il ciclo de La Ruota del tempo. Questo al fine di entrare meglio nei meccanismi narrativi e nella sensibilità del compianto Robert Jordan.
Lo scopo finale è quello di pubblicare un romanzo, A Memory of Light, quanto più possibile simile a ciò che avrebbe scritto Jordan stesso se la morte non lo avesse impedito.
Sanderson, da sempre molto attento al contatto con i fan, ha deciso di pubblicare periodicamente sul suo sito le impressioni di lettura – o meglio, di ri-lettura, visto che ha dichiarato di aver letto il ciclo sei o sette volte – dei volumi che compongono la saga che è stato chiamato a completare.
Si tratta, però, della prima volta che la rilegge completamente da quando è diventato uno scrittore professionista, e questo altera necessariamente il suo modo di osservare tutta la storia.
In particolare, adesso sa quanto sia complicato prevedere ciò che avverrà in volumi che ancora devono essere scritti. Pur conoscendo a grandi linee lo svolgersi degli eventi futuri, anticipare i dettagli di una serie così lunga è una cosa difficilissima, e lui si dichiara stupefatto per l’abilità con cui Jordan è riuscito a porre le fondamenta per i libri che doveva ancora realizzare.
Un esempio di ciò, a suo dire, sono le visioni di Min, ma anche l’uso della mitologia e della storia per preparare il lettore alla trama della Grande caccia o a eventi ancora più lontani nel tempo come le interazioni fra gli Aiel o il ritorno dei Seanchan.
Una cosa che Sanderson tiene a sottolineare è che, anche se dovesse scrivere che una determinata scena in cui compare un certo personaggio dovesse risultare per lui poco interessante, questo non significa che stia criticando le opere di Jordan, o quel personaggio in particolare. A suo giudizio il modo di scrivere di Robert era straordinario, e durante la rilettura è stato colpito dalla sua incredibile capacità di intrecciare insieme idee molto diverse fra loro.
Allo stesso modo, ama sinceramente ciascun personaggio – in fondo lui, come molti altri lettori, è cresciuto insieme a loro – e li considera degli amici. Però anche un amico, a volte, può annoiare. Questo comunque non significa che intenda tagliare alcun personaggio dal dodicesimo volume, o dargli meno spazio. E, anche se la sua interpretazione delle motivazioni di un personaggio può essere diversa da quella dei singoli lettori, il materiale lasciato da Jordan è esaustivo, e ogni caratterizzazione dipende da lui.
L’obiettivo finale di Brandon è di essere il più invisibile possibile, lasciando fuori da A Memory of Light i suoi propri temi e le sue idee.
La Ruota gira, le ere tornano nuovamente e temi già visti si ripropongono al lettore sotto una nuova luce.
Secondo lo scrittore, nell’ultimo libro saranno molti i richiami a L’Occhio del Mondo, proprio per dare al lettore un senso di chiusura del disegno e accordarsi al motivo della Ruota che gira.
Per quanto riguarda la rilettura vera e propria, Sanderson si dichiara stupefatto per le emozioni provate. La prima volta che aveva preso in mano L’Occhio del Mondo, infatti, era lui stesso un teenager e gli era venuto spontaneo simpatizzare con Rand, Mat e Perrin.
E anche le volte successive erano stati loro ad attirare maggiormente la sua attenzione, mentre era frustrato dal fatto che Nynaeve e Moiraine cercassero sempre di tenerli al guinzaglio, dandogli continuamente ordini su come comportarsi e cosa dire o non dire.
Ora, a distanza di anni dall’ultima rilettura, lo stesso Brandon ha avuto modo di crescere e maturare e stranamente – quasi a tradimento, dice lui – ora si ritrova a vedere Rand, Mat e Perrin come degli incoscienti teenager. Al punto da aver voglia, a volte, di urlare per trattenerli dal fare qualcosa di folle, come andare a passeggio per Shadar Logoth senza avvisare nessuno.
E se in passato aveva visto in Nynaeve una specie di autoritaria sorella maggiore, ora che la sua età è vicina a quella del personaggio di Jordan riesce a comprenderne meglio le motivazioni, al punto da ritenerla uno dei personaggi più eroici dell’intero libro.
Se Rand e compagni infatti non avevano avuto altra scelta, la Sapiente ha lasciato i Fiumi Gemelli di sua spontanea volontà, viaggiando da sola malgrado il recente attacco, ed è riuscita a seguire le tracce del gruppo di fuggitivi. E nonostante il fatto che avrebbe potuto tornare a casa in qualsiasi momento, e che Moiraine continuava a trattarla come una bambina, il suo senso del dovere e la sua determinazione l’hanno spinta a rimanere per proteggere i suoi compaesani.
Sanderson ribadisce di essere impressionato da ciò che è riuscito a realizzare Jordan, e afferma senza mezzi termini che questi libri dovrebbero essere studiati da ogni aspirante scrittore.
In un’intervista del 2005 aveva detto che questi volumi erano un perfetto equilibrio di elementi tradizionali, che rendono la storia familiare al lettore, ed elementi innovativi, che forniscono continuamente nuove cose da scoprire. In questi romanzi riusciva a percepire l’essenza del fantasy, pur senza rileggere la stessa storia narrata in innumerevoli altri libri.
E anche adesso che le opere di Jordan sono diventate dei classici del genere, al punto da divenire esse stesse degli archetipi, non hanno perso nulla della loro freschezza e della capacità di coinvolgere il lettore.
Ora nella sua analisi Sanderson si sofferma principalmente sulla caratterizzazione dei personaggi. Se i teenager possono essere affascinati da Egwene o da uno dei ragazzi, altre figure pensano e agiscono in modo diverso, riuscendo a catturare le emozioni di persone di tutte le età.
A suo giudizio questo è uno dei motivi perché questi romanzi funzionano così bene: ciascuno è in grado di trovare un personaggio vicino a lui e di immedesimarvisi, perché il loro creatore è entrato nella loro mente ed è riuscito a mostrarci davvero chi sono e cosa sentono.
Con La Grande caccia, e il moltiplicarsi dei punti di vista, inizia a vedersi la portata della storia. Una storia talmente vasta che spesso i lettori si sono lamentati per il ritmo con il quale Jordan la racconta. Ma se è vero che gli ultimi libri sono divisi in grosse sezioni dedicata a un solo personaggio, in questo secondo romanzo non si perdono le tracce di nessuno troppo a lungo. I capitoli sono brevi e alternati fra loro nel tentativo di narrare in poche pagine gli avvenimenti che accadono nello stesso momento in luoghi diversi.
Il risultato finale è quello di un ritmo vivace, che fa procedere la storia in modo incalzante.
Una cosa che Brandon ha sempre ritenuto fondamentale è la conflittualità interiore dei personaggi. Ogni figura diviene interessante solo grazie ai suoi conflitti, e l’ambientazione prende vita nel momento in cui differenti culture si scontrano fra loro.
Partendo da queste idee, Sanderson ha tracciato un breve elenco dei conflitti e delle preoccupazioni che affliggono Rand all’inizio della serie:
- i servitori del Tenebroso che lo inseguono;
- il Tenebroso stesso che appare nei suoi sogni;
- i suoi dubbi circa la sua stessa identità e il fatto che Tam possa non essere suo padre;
- la preoccupazione per la sua relazione con Egwene;
- la tensione presente da un certo punto in poi con Mat e Perrin;
- la preoccupazione per il fatto che tutti lo ritengano un lord;
- la frustrazione per i tentativi di controllarlo fatti dalla Torre Bianca;
- il pericolo insito nell’incanalare e il suo eventuale ruolo come Drago rinato.
Conflitti. Ce ne sono in abbondanza, e questo è il motivo, a giudizio di Sanderson, per cui la storia ha avuto tanto successo, ed è stata in grado di svilupparsi in così tanti libri senza perdere di fascino.
Nynaeve continua a riscuotere le sue simpatie, anche se non riesce a giudicare con imparzialità Moiraine. Quando pensa all’Aes Sedai, la Sapiente si fa prendere dalla rabbia e lascia da parte la sua intelligenza.
E poi, ci sono molte scene indimenticabili. Come quella in cui Rand usa le Pietre Portali e ci consente di gettare uno sguardo sulle molte altre vite che avrebbe potuto vivere. Vite diverse, ma con in comune le parole del Tenebroso: ho vinto ancora…
Per quanto riguarda il finale di questo secondo romanzo, è altamente drammatico e narrato con un ritmo incalzante.
Brandon ha sempre detto che la conclusione, secondo lui, è la cosa più importante di un libro. Un grande finale arricchisce tutta una storia, così come uno debole può rovinarla irrimediabilmente. E La Grande caccia, con le sue immagini molto potenti – una fra tutte il suono del corno mentre il Drago va a combattere a vessilli spiegati – e i suoi forti conflitti, presenta uno dei finali più forti di tutta la serie.
L’ultimo commento riguarda la cattura di Egwene da parte dei Seanchan. Una scena questa che è rimasta profondamente impressa nella sua mente, al punto che nella rilettura c’era in lui una grande aspettativa per quelle pagine che sembravano non arrivare mai.
Con sua grande sorpresa, un episodio che lui ricordava lungo parecchi capitoli non riempie in realtà più di una trentina di pagine. E questa, secondo Sanderson, è l’ennesima dimostrazione dell’abilità narrativa di Robert Jordan.
Ciò che accade a Egwene è talmente traumatico che lascia nel lettore una forte impressione, e il fatto che il tutto avvenga in così poche pagine dice molto riguardo alla capacità dello scrittore scomparso di creare scene potenti e di grande profondità.
Anche se Brandon ha ancora molte migliaia di pagine da rileggere, conta di iniziare a lavorare sul testo di A Memory of Light durante questo mese, con l’obiettivo di consegnarlo per una prima revisione nel mese di dicembre.
La storia, ribadisce, c’è già, e il suo compito è semplicemente quello di riempire i buchi ancora presenti fra un evento e un altro e addolcire un po’ la prosa.
Il dodicesimo romanzo completerà la storia iniziata ne L’Occhio del Mondo con la battaglia finale. Anche se questo non significa che vi entrerà tutto il materiale lasciato da Jordan.
Parte degli appunti infatti riguardano i due prequel progettati ma mai realizzati, e parte addirittura narrano ciò che accade ad alcuni personaggi dopo la fine di A Memory of Light.
Riprendendo una famosa frase di Jordan, “non c’è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo”.
7 commenti
Aggiungi un commentoa leggere alcune delle impressioni di Sanderson ritrovo molto del mio stupore quando iniziai a leggere la Ruota, un affresco di dimensioni esagerate, eppure con una cura per il dettaglio maniacale, mi trovai di fronte a una delle opere più vaste e complete (e non solo per la mole di pagine) dell'intera letteratura fantasy....
non posso che quotare Perrin: buon lavoro!
Ho letto L'occhio del mondo nel 2004 o 2005, spinto dalla recensione di FM (che dava 5 stelline se non ricordo male), ma una volta letto ho pensato che di stelline ne valeva 3. E andava benissimo come romanzo autoconclusivo.
Penso sia un po' azzardato far finire il ciclo in fretta e furia dal primo scrittore che passa. Di sicuro sarà una mossa commerciale necessaria, ma... mi sembra poco rispettoso, insomma. :S
P.S. Secondo me Sanderson non l'ha mai letto, il ciclo.
Complimenti per l'articolo, interessante ed esaustivo
buon lavoro a sanderson e speriamo riesca nel suo intento
Tutti i libri sono anche 'una mossa commerciale', mi sembra evidente, ma in questo caso è il desiderio dello stesso autore sapere che la sua opera avrebbe avuto compimento. Desiderio espresso in molteplici occasioni
Sanderson ha citato i romanzi di Jordan in diverse interviste rilasciate parecchio tempo prima che Robert morisse.
Certo per lui è un'ottima pubblicità completare A Memory of Light, ma era comunque un fan di Jordan da anni.
Nel brano che ha pubblicato sul suo blog per commemorare Jordan, pubblicato un buon mese prima che Harriet lo scegliesse (e ricordo che lei è un importante editor, e che ha revisionato tutti i romanzi del marito, quindi non è l'ultima arrivata), Sanderson frla le altre cose ha scritto che, poiché l'editore di Jordan era Tor, nel momento in cui ha iniziato a vedere interesse da parte delle case editrici per le sue opere ha optato per la stessa Tor. Visto che era quella del suo idolo, andava bene anche per lui, anche se qualcuno era disposto a pagarlo di più.
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