«Sì, d’accordo» rispondo con la morte nel cuore. Non sanno a cosa vanno incontro alla Spence accogliendo me, il fantasma di una ragazza che annuirà e sorriderà e berrà il tè, ma non sarà mai davvero presente.

Il vetturino si china verso di noi. «Sir, dobbiamo passare per l’East, se vuole chiudere le tendine».

«Che cosa significa?» chiedo.

«Dobbiamo attraversare l’East End. Whitechapel? Oh, per l’amore del cielo, Gemma, i bassifondi» dice, slacciando le tendine dalla sua parte e chiudendo fuori povertà e sporcizia.

«Ho visto i bassifondi in India» dico, lasciandole aperte. La carrozza avanza barcollando sull’acciottolato per vicoli stretti e sporchi. Dozzine di bambini lerci e magri si avvicinano per guardare all’interno della nostra elegante carrozza. Mi sento stringere il cuore alla vista delle loro facce ossute e annerite di fuliggine. Parecchie donne sono riunite a cucire sotto un lampione. Per loro ha senso sfruttare l’illuminazione cittadina invece di sprecare le loro preziose candele per quel lavoro spietato. Il puzzo delle strade – un misto di rifiuti, escrementi di cavallo, urina e disperazione – è nauseabondo, e temo di dover vomitare. Da una taverna risuonano grida e musica alta. Una coppia di ubriachi esce incespicando. La donna ha i capelli color tramonto e la faccia dal trucco pesante. Si mettono a discutere con il vetturino, bloccandoci.

«Che cosa succede adesso?». Tom tamburella contro il tettuccio della carrozza, per indurre il vetturino a ripartire. Ma la donna lo tiene bloccato. Potremmo restare fermi anche tutta la notte. L’ubriaco mi guarda lascivo, ammicca, fa un gesto estremamente volgare con le dita delle mani.

Disgustata, mi giro a guardare un vicolo deserto. Tom è affacciato al finestrino. Sento la sua voce, condiscendente e stizzita, che cerca di ragionare con la coppia per strada. Ma c’è qualcosa che non va. La sua voce diventa attutita, come se la sentissi in una conchiglia accostata all’orecchio. E poi sento soltanto il sangue che mi scorre veloce nelle vene. Una tremenda pressione si impossessa di me, togliendomi il respiro.

Sta succedendo di nuovo.

Vorrei chiamare Tom, ma non posso e poi sprofondo, cado di nuovo nel tunnel di luce e colori, mentre il vicolo si deforma e muta. Poi, con altrettanta rapidità, mi trovo fuori dalla carrozza, che cammino lieve per il vicolo buio. Una bambina di circa otto anni è seduta sulla paglia, in mezzo alla sporcizia, e gioca con una bambola di stracci. Ha la faccia sporca, ma per il resto sembra fuori posto qui, con il nastro rosa nei capelli e il grembiulino bianco inamidato troppo grande. Canta il ritornello di una canzone, che riconosco vagamente come un vecchio motivo popolare inglese. Quando mi avvicino, alza la testa.

«È bella la mia bambola?»

«Puoi vedermi?» le chiedo.

Lei annuisce, poi torna a pettinare i capelli della bambola con le dita luride. «Ti sta cercando».

«Chi?».

«Mary».

«Mary? Mary chi?».

«Mi ha mandato a cercarti. Ma dobbiamo stare attente. Anche la cosa ti sta cercando».

L’aria si muove, portando con sé una ventata gelida. Comincio a tremare con violenza. «Chi sei?».

Alle spalle della bambina, avverto un movimento nel buio. Sbatto le palpebre, per vedere meglio, ma non è un trucco: le ombre si muovono. Rapido come argento liquido, il buio si solleva e assume la sua forma agghiacciante, il biancore d’ossa della faccia scheletrica, i buchi neri e vuoti al posto degli occhi. I capelli un intrico di serpenti. La bocca si apre e soffia fuori un gemito roco. «Vieni da noi, mia bella, bella…».

«Scappa». La parola è un bisbiglio strozzato sulla mia lingua. La cosa cresce, scivola sempre più vicina. I gemiti e le urla dentro di lei mi raggelano fino al midollo. Un grido mi sale lentamente in gola. Se lo lascio sfuggire, non smetterà più.

Con il cuore palpitante, ripeto più forte: «Scappa!».

La cosa esita, si ritira. Annusa l’aria, come se seguisse una traccia. La bambina posa su di me i suoi grandi occhi marroni. «Troppo tardi» dice, mentre la creatura rivolge i suoi occhi invisibili verso di me. Le labbra putrefatte si schiudono, rivelando denti aguzzi come lance. Mio Dio, mi sta sorridendo. Spalanca la sua bocca orribile e urla: un suono che finalmente mi scioglie la lingua.

«No!». In un attimo mi ritrovo dentro la carrozza e sporgendomi dal finestrino grido alla coppia di ubriachi: «Toglietevi di mezzo, subito!». Poi colpisco la groppa del cavallo con lo scialle. L’animale nitrisce e si lancia in avanti, costringendo la coppia a rifugiarsi di corsa dentro la taverna.

Il vetturino calma il cavallo mentre Tom mi trascina a sedere. «Gemma! Si può sapere che cosa ti è preso?».

«Io…». Nel vicolo, cerco la cosa ma non la trovo. È soltanto un vicolo, fiocamente illuminato, con un gruppetto di ragazzini straccioni che cercano di rubare il cappello a un bambino più piccolo, l’eco delle loro risate che risuona dalle stalle e dai tuguri diroccati. La scena ci passa accanto inghiottita dalla notte.