Come è nato il tuo romanzo d’esordio, Pentar – Il Patto degli Dèi? E come si è andato sviluppando il tuo secondo lavoro, la raccolta antologica intitolata Il Libro dei Peccati? Cosa stai scrivendo ora?
La genesi di Pentar l’ho raccontata sopra. Tra Pentar e Il libro dei peccati, ovvero tra il 2004 e il 2007, ho scritto i primi due volumi di una trilogia ancora inedita. “Il libro dei peccati” è nato un po’ dalla necessità e un po’ dal caso, in un periodo in cui avevo molte idee eterogenee ma il tempo per applicarmi a un intero romanzo scarseggiava. Nella notte tra Natale e Santo Stefano del 2006 scrissi di getto Sine Nomine, il racconto che conclude la raccolta, sull’onda di un’idea che mi aveva fatto venire una canzone. Ancora oggi è il racconto a cui sono sentimentalmente più legato, e lo considero una delle cose migliori che abbia scritto finora. Nei due mesi successivi stesi il romanzo breve “L’angelo di Bisanzio”, un giallo storico-religioso-psicologico che progettavo da tanto tempo; solo dopo averlo terminato mi resi conto che condivideva con “Sine Nomine” e con varie altre idee che avevo in mente un tema comune, quello della colpa e delle sue conseguenze. Da qui l’idea di una raccolta basata su questo argomento. Il lavoro attualmente in progress s’intitola I quaderni di Azazel: è un urban fantasy dal tono volutamente leggero, che ironizza sui cliché del genere mettendo in campo la guerra cosmica tra gli Angeli e i Demoni ma inquadrandola nei suoi aspetti più paradossali. Spero possa vedere le stampe l’anno prossimo: indipendentemente da quale sarà il risultato, mi sto divertendo moltissimo a scriverlo, quindi per quanto mi riguarda è un lavoro che si sta già ripagando da sé.
Pensi che in Italia si possa vivere “solo” scrivendo fantascienza o fantasy?
Penso sarebbe molto, molto dura: l’unico che ci riesce oggi, per quanto ne so, è Valerio Evangelisti, e credo che anche Licia Troisi potrebbe. Però, naturalmente, sarebbe bello se in un futuro non troppo lontano la situazione evolvesse.
Quale consiglio ti sentiresti di dare agli scrittori esordienti? Partecipare ai concorsi? Affidarsi a un agente investendo una somma di denaro? Inviare a qualche editore? Cosa fare?
È una domanda delicata… Essendo un consulente editoriale ancor prima che uno scrittore, so anche troppo bene come funzionano le cose in una casa editrice: tra i miei doveri c’è quello di leggere e selezionare manoscritti, italiani e non, e nel contempo io stesso ho mandato i miei manoscritti agli editori in anni non troppo lontani. A ben guardare, è una situazione decisamente paradossale. Agli aspiranti consiglio innanzi tutto e sopra ogni cosa di scrivere perché amano farlo e vogliono farlo: la scrittura deve offrire soddisfazione immediata di per sé stessa, altrimenti si trasforma in una delle peggiori fonti di frustrazione che si possano immaginare. Venir pubblicati non è facile, ve lo assicuro: la selezione è feroce, non sempre logica anzi spesso aleatoria, ed essere un autore italiano è quasi invariabilmente un handicap.
In linea di massima non consiglierei gli agenti letterari, a meno che non siate del tutto coscienti che il vostro investimento economico sarà quasi di sicuro a fondo perso: venir presentati da un agente, tranne in casi rari, non garantisce nulla di particolare a un autore italiano in Italia. Non c’è nulla di male nel partecipare ai concorsi, ma anche in quel caso è bene nutrire speranze molto contenute. Alla fine i modi migliori per attirare l’attenzione di un editore restano quelli “tradizionali”: inviare manoscritti, partecipare agli eventi letterari e alle presentazioni, armarsi di pazienza infinita (ormai i tempi di risposta si sono fatti lunghissimi: non stupitevi se venite ricontattati dopo più di un anno) e non dimenticare mai che, a meno di santi in Paradiso o parenti nel consiglio direttivo della casa editrice, le probabilità sono gravemente a vostro sfavore. Non è una bella situazione e me ne rendo acutamente conto, ma la realtà è questa.
Fantasy
Cosa ti affascina del fantasy e cosa non ti piace?
Mi affascina il suo terrificante senso di potenzialità: liberato dalle necessità della verosimiglianza storica o scientifica – ma non da quella logica, beninteso! – è forse l’unico genere al mondo ad avere il diritto di affrontare qualunque argomento. Non esiste tema che non possa essere messo in scena e trasformato in una storia vivida, intensa e indimenticabile: il fantasy è un palco dove tutte le maschere della commedia umana possono recitare, senza mai temere di venir stravolte o messe in un angolo. Per contro, l’aspetto che mi piace di meno è il livello di fanatismo che tende a generare nei suoi lettori. Ho passato la vita a incontrare sedicenti appassionati o peggio ancora “esperti” – temine che sembra piacere immensamente a questi personaggi – in grado di spiegarti per ore e ore “cosa va bene” e cosa no in un libro, cosa “è vera fantasy” e cosa non lo è. Naturalmente tutti i generi letterari hanno i loro appassionati e c’è sempre una certa percentuale con atteggiamenti un po’ maniacali, ma nel nostro campo il fenomeno assume proporzioni veramente inquietanti…
Ultimamente il genere fantasy sta conoscendo una nuova stagione di enorme successo, sia in libreria, sia al cinema. Secondo te per quale motivo? Cosa riflette questa popolarità?
Direi che l’origine del boom è principalmente cinematografica: era nell’aria già da qualche anno, ma è stato Il Signore degli Anelli di Peter Jackson ad aprire la cateratta; l’editoria ha solo seguito la scia. Chiaramente la parte del leone l’ha fatta la pubblicità: chi lavora in campo editoriale sa bene che un libro di enorme successo si ottiene soltanto facendolo leggere a chi di solito non accosta quel genere; praticamente non esistono casi di grande portata in cui le cose siano andate diversamente. E poi c’è il meccanismo del feed-back: un elemento ben confezionato attira l’attenzione del pubblico, che ne usufruisce e ne chiede ancora, il mercato risponde dandogliene di più e il pubblico in breve si convince di averne assolutamente bisogno. A me personalmente la cosa non dispiace affatto: molto prima che uno scrittore mi considero un lettore, e amo la fantasy: più ne pubblicano, più aumentano le chance di trovare nella massa le opere che valgono davvero. Bisogna solo allenare l’occhio.
3 commenti
Aggiungi un commentoMolto bella l'intervista e le posizioni di Tarenzi mi trovano d'accordo - non pensavo - al 100%. Grazie a quest'intervista mi sento moooolto incoraggiato a leggere i suoi fantasy, per colmare una lacuna.
Fabrizio (in Guardia)
Tarenzi mi è piaciuto molto in Pentar-il patto degli Dei; non ho letto altro, ma sembra un ragazzo con la testa sulle spalle.
Credo che l'accostamento con Gaiman sia imputabile ad una certa tematica comune, ma nello stile e nell'approccio alla storia li ho trovati differenti. Il primo più complesso ed evocativo, il secondo più essenziale e pratico.
È un autore da seguire.
Non ho avuto ancora modo di leggere Tarenzi, ma lo farò prossimamente.
un saluto,
Francesco
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