È un genere, per te, che si avvia verso un periodo ancora più fiorente o si tratta solo di un fuoco di paglia?
Penso che raggiungerà la sua massa critica e poi imploderà su se stesso, come ogni fenomeno naturale. È successo altre volte, al fantasy come ad altri generi: oggi è solo più evidente che in passato per via dell’aspetto cinematografico. Poi, ben lungi dal rischiare l’estinzione, riprenderà il suo normale corso. È un peccato che in Italia pochi conoscano i saggi di Lin Carter, grande editore e autore fantasy del passato che descriveva una situazione assai simile al boom attuale (meno l’elemento cinema) nell’America di trent’anni fa. Nihil novus sub sole.
Riguardo al fantasy, sappiamo che esso viene spesso visto come un genere piuttosto leggero e sottostimato dall'elite culturale. Perché secondo te? Dipende dai lettori, dagli editori, dal retaggio culturale? Quali sono le potenzialità del fantasy?
Credo che le radici di questa situazione vadano cercate molto più indietro
della nostra generazione. Non è un modo di pensare che abbiamo elaborato noi: lo abbiamo soltanto ereditato. La cultura italiana in particolare esercita il suo disprezzo verso i generi letterari non realistici da più di mezzo secolo, e a cercare d’individuarne le ragioni si finirebbe per andare molto lontano. Resta il fatto che non sono certo le vere o presunte “elite culturali” a decidere cosa appare sui banconi delle librerie, ma la complicata sinergia generata da pubblico, librai ed editori: i risultati non sono sempre grandiosi, e ben lo sappiamo tutti, ma anche in questo campo direi che – almeno per il momento – vale la pena di gridare ancora “Viva la democrazia!”…
È possibile con il fantasy inviare messaggi importanti o è un genere utile solo come intrattenimento? E anche se fosse solo intrattenimento, sarebbe poi un male?
Ovviamente non lo sarebbe: chi sono io per togliere dignità d’esistenza a qualcosa che è stato pensato per divertirmi e rilassarmi? Ma a parte questo le potenzialità comunicative del fantasy e in generale della letteratura fantastica sono semplicemente enormi, come dicevo poco sopra: esiste forse modo migliore per analizzare una realtà che presentarla sotto una luce mai immaginata prima, mettendo in evidenza tutti quei dettagli e quegli aspetti a cui l’abitudine quotidiana del “normale” ci ha resi ciechi? In effetti è un fenomeno apparso più di frequente nella fantascienza che non nel fantasy. Sto pensando ad esempio al filone della fantascienza sociologica, ma anche a casi ancor più eclatanti e inaspettati: nel 1937 il professor Olaf Stapledon scrisse quel capolavoro che è “Il Costruttore di Stelle” con l’intenzione di stendere un’analisi prettamente filosofica della condizione umana nell’universo, divenne immediatamente un cult fantascientifico e vendette così tanto che l’autore stesso ci restò di sasso. Si possono ottenere risultati simili anche nel campo del fantasy? Assolutamente sì.
Un fantasy che ti piacerebbe aver scritto è…
I sei volumi che compongono le Cronache di Thomas Covenant l’Incredulo di Stephen Donaldson. I lettori delle generazioni successive alla mia probabilmente non li conoscono, non essendo più stati ripubblicati in Italia da oltre quindici anni, ed è un peccato di proporzioni immense: si tratta di una delle saghe più sorprendenti e più toccanti che siano mai state scritte in tutta la storia del genere. Lo stesso autore non è più riuscito a raggiungere quel livello nella produzione successiva (anche se di recente, come mia somma gioia, ha ripreso in mano la saga). Se c’è un Olimpo per i capolavori del fantasy, le Cronache di Thomas Covenant hanno diritto a un seggio d’oro massiccio.
Leggi fantasy italiano? Che ne pensi?
Sono sempre restio a fare commenti sul fantasy italiano essendone io stesso un esponente, per quanto assolutamente minore: sia che ne parli bene sia che ne parli male, mi si potrebbe sempre accusare di “tirare l’acqua al mio mulino” invece che di offrire giudizi obiettivi. Ma tant’è: a costo di dire un’atroce banalità, dirò che i buoni libri non hanno nazione, indipendentemente dal loro genere. Poi resta il fatto che l’Italia è un Paese di santi, navigatori e babbei che si credono geniali (e ci piace anche per questo): tutti sanno che il fantasy arriva da noi per il 95% dal mercato americano o inglese, il che ha generato nel pubblico la buffa allucinazione che negli altri Paesi non si scriva fantasy – frase che ho effettivamente sentito – o se ne scriva di così brutta che non varrebbe la pena importarla. Solo molto di recente ho notato delle aperture, con l’arrivo di qualche romanzo tedesco e con le opere del russo Luk’janenko; ma quanti lettori italiani sanno, ad esempio, che in Francia – proprio presso i nostri “amichevoli cugini d’Oltralpe” che non abbiamo mai sopportato – esiste una pregevolissima produzione fantastica, di cui da noi non si è mai vista neppure l’ombra?…
L’Italia per molto tempo ha vissuto nella medesima situazione, venendo considerata dal suo stesso pubblico “uno di quei Paesi stranieri” nei quali non si scrive fantasy, o se ne scrive poca e brutta. Quando ero adolescente, una quindicina d’anni fa, un romanzo fantasy italiano somigliava parecchio a un basilisco che si fosse introdotto di soppiatto in libreria (forse per sfuggire a un cacciatore di mostri): semileggendario – nel senso che qualcuno ne parlava ma ben pochi lo avevano visto davvero; ibrido – “Ma chi è questo italiano che vuole scimmiottare gli autori americani??”; e soprattutto mostruoso – perché, si sapeva, gli italiani certe cose non le sanno fare, punto e basta. Ma tutto questo è storia. Oggi è tutto cambiato: i titoli italiani nelle librerie sono tantissimi, e aumentano da un giorno con l’altro (scatenando anche discussioni e polemiche di cui sono solo vagamente al corrente). Si tratta sempre di opere geniali o anche solo pregevoli? Penso proprio di no – perdonatemi se non li leggerò tutti per farmene un’idea! – ma forse facendolo si scoprirebbe che la percentuale di “bello” e “brutto” è uguale a quella della produzione anglosassone… Non resta che aspettare e vedere come evolverà la situazione.
Dimmi la prima cosa che ti passa per la mente, meglio un aggettivo, per…
a. J.R.R. Tolkien: mitologico (in tutti i suoi aspetti, buoni e meno buoni)
b. J.K. Rowling: un tantino sopravvalutata (non linciatemi!…)
c. Poul Anderson: altalenante (autore di grandi colpi di genio e di altrettanto grandi scivoloni)
d. Marion Zimmer Bradley: cardinale (è un pilastro imprescindibile, soprattutto per la mia generazione; può piacere o non piacere, ma non si può fare come se non ci fosse stata)
e. Terry Pratchett: rispettato (non è tra i miei autori preferiti, ma sarei pazzo se negassi il suo valore)
f. Neil Gaiman: bruciante (in tutti i sensi; la sua produzione splende di luce propria, come un grande incendio, ma rischia di scottare chi tenta di seguire strade simili)
g. Alan D. Altieri: simpatico (di persona, intendo: colpevolmente non ho mai letto una sua riga…)
h. Valerio Evangelisti: familiare (lo seguo da così tanto che a ogni nuovo libro è un po’ come incontrare di nuovo un vecchio amico)
i. Licia Troisi: ignota (non ho mai letto nulla di suo, anche se naturalmente ne sento molto parlare)
Grazie a Luca Tarenzi per essere rimasto in nostra compagnia.
3 commenti
Aggiungi un commentoMolto bella l'intervista e le posizioni di Tarenzi mi trovano d'accordo - non pensavo - al 100%. Grazie a quest'intervista mi sento moooolto incoraggiato a leggere i suoi fantasy, per colmare una lacuna.
Fabrizio (in Guardia)
Tarenzi mi è piaciuto molto in Pentar-il patto degli Dei; non ho letto altro, ma sembra un ragazzo con la testa sulle spalle.
Credo che l'accostamento con Gaiman sia imputabile ad una certa tematica comune, ma nello stile e nell'approccio alla storia li ho trovati differenti. Il primo più complesso ed evocativo, il secondo più essenziale e pratico.
È un autore da seguire.
Non ho avuto ancora modo di leggere Tarenzi, ma lo farò prossimamente.
un saluto,
Francesco
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