Quando un’idea è così forte da contenere l’energia per splendere di luce propria, il solco che si viene a creare è profondo quanto basta per attirare gli spunti successivi con irresistibile potenza. Nuove regole, schemi narrativi, cliché nati dal nulla e rapidamente imposti come linee guida alle quali è difficile - e controproducente - sottrarsi.
Il preambolo è doveroso prima di recensire Il portale degli incubi, romanzo di Dean Lorey dalla struttura prevedibile e leggera.
Non occorrono molte pagine per avvertire un prepotente déjà vu che, lungi dal celarsi tra le righe, balza allegramente allo scoperto come un diabolico folletto ghignante.
Analizziamo brevemente la trama imbastita da Lorey.
Per alcuni i sogni sono l’espediente dell’inconscio umano per fare piazza pulita delle scorie accumulate durante il giorno. Un po’ come le imprese di pulizia che rassettano gli uffici dopo l’orario di lavoro, a luci spente e scrivanie deserte. Una rapida deframmentazione di desideri, bisogni, paure e disagi stratificati, opprimente fardello da cui depurarsi in fretta.
Che l’universo onirico sia anche uno scrigno di potenziale magico non dovrebbe stupire i lettori fantasy: dopotutto gli universi fantastici non sono forse sogni riccamente elaborati?
Mentre il corpo riposa, la mente si consegna all’immaginazione, varchi scintillanti vengono spalancati su dimensioni che mai da svegli potremmo concepire.
Delicata poesia o sconcertante realtà? E se questi portali verso l’ignoto fossero concreti e tangibili?
Prendiamo i bambini, le creature umane più intrise di carica immaginifica. I loro sogni sono vividi, dettagliati e possenti, capaci di raggiungere vette di inquietante intensità, soprattutto nelle accezioni più negative e terribili: gli incubi.
Scomodiamo per un attimo (solo un attimo, beninteso, meglio non chiedere troppo alla buona sorte!) il celebre Nightmare di Wes Craven: in quelle pellicole la mostruosa e micidiale energia dell’incubo è portata alla sua massima espressione. In poche parole, il concetto non è affatto nuovo, fa parte del bagaglio horror e fantasy.
Quando la notte reclama il dominio sul mondo e le ombre cancellano la parvenza di ordine e raziocinio dalle nostre strade, la barriera tra noto e ignoto perde consistenza, diviene un velo di garza sottile. I bambini dotati del Dono possono lacerare il fragile tessuto, aprire i portali che consentono ai mostri di lasciare l’Infero e scorrazzare liberamente. L’Uomo Nero nell’armadio, il Babau sotto il letto o nella cantina, sono gli evasi di quell’universo raggiungibile solo da chi non ha perso la capacità di immaginare.
Reclutati e addestrati, questi giovani speciali apprendono che è in atto una guerra insidiosa e mortale tra l’uomo e le creature infere. Divisi tra Inferomanti e Banditori - cioè tra ragazzini in grado di aprire portali a piacimento e altri con la forza necessaria per respingere i mostri - saranno l’avanguardia contro lo straripare del Male.
Charlie Benjamin, il protagonista del romanzo, è un preadolescente particolare, diverso da tutti i suoi coetanei: possiede il Dono a un livello sconvolgente e la notte, per lui, rappresenta un pericolo mortale.
Improvvisamente viene prelevato dalla casa dei genitori e introdotto in un mondo di magia e mistero. Giudicato non addestrabile e inaffidabile, è subito circondato da inimicizia e rivalità, considerato strano persino tra individui a loro volta ben più che bizzarri. Grazie alla benevolenza della Preside, è ammesso all’Accademia Incubi dove, dopo uno smistamento molto insolito, accede al corso di studi. I suoi migliori amici saranno un ragazzino e una ragazzina, giusto per completare il quadro.
A questo punto le analogie sono presenze ingombranti, grossi scatoloni ammucchiati uno sull’altro. Possiamo girarci attorno e seguire percorsi familiari, oppure accettare il fatto che lo spazio di manovra è davvero troppo esiguo.
C’è veramente molto Harry Potter in quest’avventura, inutile negarlo.
Abbiamo la versione riveduta di Hogwarts, i nemici ultrapotenti, gli amici devoti e leali, gli insegnanti saggi e avveduti e le ostilità di compagni ottusi.
E’ un meccanismo che funziona, quasi uno standard se consideriamo la fluidità di certe situazioni, il dipanarsi istintivo di dialoghi e rapporti tra personaggi. Sappiamo dove la storia andrà a parare, siamo quasi rasserenati dalla mancanza di colpi di scena e ci sembra di tornare a vicende più note, non senza un moto di piacevole malinconia.
Sarebbe facile dare giudizi severi, ma non servirebbe a nulla, giacché la soddisfazione di aggiungere questo libro alla collezione personale è comunque innegabile.
I punti di contatto sono grandi quanti il blocco motore di un TIR, ma è come rivedere la stessa storia da una nuova angolazione, leggermente diversa, non tanto da disturbare o confondere.
La sensazione è quella provata con il secondo capitolo di Ritorno al Futuro, durante le scene nelle quali Marty rivede sé stesso sul palco mentre suona Johhny B. Goode.
La lettura scorre veloce, leggera e divertente. Proprio per questo dispiace che l’autore non si sia maggiormente discostato dal solco già citato: probabilmente il divertimento ne avrebbe giovato e non poco.
L’avventura giovanile funziona e lo fa sempre se descritta con garbo e ironia, al punto che fare la conta delle similitudini diventa un esercizio enigmistico che può solo pregiudicare il godimento dell’opera.
Come il finale aperto lascia presagire, ci troviamo di fronte al primo episodio di una serie di vicende aventi il piccolo Charlie Benjamin come protagonista. L’augurio è che, con le storie successive, la fedeltà allo stereotipo venga meno, lasciando filtrare la bravura dello scrittore e l’originalità delle sue trovate. Perché, se da un lato il parallelo potteriano è scomodo quanto palese, dall’altro la freschezza stilistica di Lorey non è in discussione. Le stesse invenzioni di Inferomanti e Banditori sono attraenti, perfettamente congeniali a una serie di romanzi per teen-ager, veloce e divertente, se non proprio solida nell’intreccio narrativo.
Resta la consapevolezza di una lettura rapida, distensiva e di completa evasione, con un pizzico di sana ironia e qualche spunto veramente interessante.
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