Gli occhi di Pallino diventarono due biglie grosse come la pallina della profezia e si centuplicarono sui musi di tutti gli animali intorno a lei. Poi gli occhi-biglia assunsero un’aria sempre più minacciosa e si fecero di fuoco, sotto il mormorio incessante.

– Guarda dentro! Ascolta bene! – Pallino era sempre più insistente e sembrava seccato.

– Guarda dentro! Ascolta bene! – Il coro animalesco era diventato adesso una lugubre litania.

– Guavda dentro! Vuà! Ascolta bene! Vuà! Vuà! – continuavano i pappagalli.

– Oh, sento la testa come un pallone – gemeva Lucilla. – È più tonda della pallina.

– Come se tu avessi in testa la pallina? – domandò Pallino interessato.

– La pallina nella testa? – fu il nuovo coro soffocato.

– Testa! Testa! Vuà! Vuà! – strillavano i pappagalli.

– Oh! No – piagnucolava Lucilla. – Dovrei vedere che c’è nella pallina. Lo so.

– E allora guarda nella tua testa dov’è l’oasi – la esortò Pallino.

– L’oasi nella testa? – il coro si trascinava tutt’intorno a lei.

– Testa! Testa! Vuà! Vuà!

– L’oasi nella mia testa?

– Ecco, ci siamo – gridò Pallino. – Abbiamo trovato la nuova terra tanto cercata.

– Oasi nella testa! Oasi nella testa!

– Testa! Testa! Vuà! Vuà!

Lucilla cominciò a pararsi la testa anche con i gomiti, poi col vestitino, finché non decise che forse sarebbe stato meglio fuggire. Ma gli animali la stavano attorniando con aria sempre più feroce e si trovò a guardarli dal basso, mentre formavano un cerchio tutt’intorno a lei.

– Lasciatemi stare! Fatemi andar via! Vi prego!

– Dacci la testa! Dacci la testa!

– Testa! Testa! Vuà! Vuà!

– Vi prego! Basta!

– Costruisci i recinti – comandava Pallino. – Scava i laghetti, ed entreremo nella tua testa.

Improvvisamente, Lucilla scoprì un varco tra le zampe di un asinello e riuscì a uscire dal salotto. Il salone era pieno di serpenti, coccodrilli, cinghiali, tigri e animali di ogni sorta e dimensioni che la guardavano a occhi e fauci spalancate.

– Dacci la testa! Dacci la testa! – continuavano a gridare.

– Testa! Testa! Vuà! Vuà!

Saltò sul dorso di una pantera, scacciò i pipistrelli e si lanciò contro una porticina alla sua destra. Il corridoio lungo e buio su cui sboccava doveva proprio essere l’intestino di Banana. Così prese a percorrerlo, col cuore in gola.

Purtroppo dimenticò di chiudersi la porticina alle spalle e udì il branco correrle dietro sempre più veloce, sempre più veloce. Anzi, velocissimo, fino a sentirne il fiato sul collo.

– Mattone su mattone dacci la casetta – proseguiva Pallino. – E vetro dopo vetro mettici dentro le teche.

– Dacci la testa! Dacci la testa! – continuavano a gridare gli animali.

– Testa! Testa! Vuà! Vuà!

Lucilla prese davvero a immaginare la nuova oasi; ma tutti quei pensieri, uniti alla stanchezza e alla paura, cominciarono a pesarle nelle gambe, che si alzavano con fatica sempre maggiore. La corsa si stava facendo più lunga di quel che aveva immaginato e le curve non finivano mai. Sembrava di trovarsi in uno di quei tunnel dell’orrore dei luna park.

Fu così con sollievo che, nel buio, sentì di aver messo un piede nel vuoto e che uno scivolo la stava dirigendo verso un puntino luminoso.

– Ricordati tutto quello che ti ho detto, Lucilla – fu l’ultimo grido di Pallino. – E fa’ che sia una bella giornata.

– Dacci la testa! Dacci la testa!

– Testa! Testa! Vuà! Vuà!

E poi accadde una cosa che proprio non si era aspettata: la sua testa rimase incastrata nel buchino luminoso, mentre il resto del suo corpo già ciondolava nel vuoto: – Sforzati, Banana! – piangeva. – Sforzati, Bananina cara!

Così, tutta la compagnia squamata, pennuta, pelosa e quant’altro scivolò dietro di lei e le piombò sul capo; ma Lucilla non sentì alcun dolore, perché, grazie a questo, riuscì a farsi espellere dal drago.

Plomb! Sul prato.

Ma Banana non c’era. Così come non c’era nessun abitante dell’oasi. Pallino compreso.

Lucilla si prese la testa tra le mani e cominciò a scuoterla ben bene.

– Accipicchia! – esclamò. – Sono caduti proprio tutti qui nella mia testa. Quanto ci metterò adesso a costruire quello che mi ha detto il mago?

Anche il sole era stato ormai richiamato nell’altro emisfero e una virgola di luna si affacciava dal cielo. Le ombre degli ulivi erano come pizzi distesi sul terreno e i richiami lontani degli uccelli (nella campagna, o nella sua testa?) la rassicurarono, ricordandole che in realtà non era sola.

Ma quanto aveva camminato all’interno del drago? Neanche se n’era accorta, tanto erano ampie le sue falcate. “Chissà mammina come sarà preoccupata...”, si ripeteva in continuazione.

Seguì nel buio le linee incerte dei colli che scendevano a valle, accompagnata dalla cantilena del fiume, e saltò l’ultima criniera d’erba dopo aver già avvistato, in lontananza, il profilo della città.

Così, passo dopo passo, strada dopo strada, arrivò fino a casa, dove trovò la mamma disperata e un sacco di persone in pensiero per lei.