L’intervento di Barillaro era attesissimo. I giornalisti sembravano bambini in attesa di vedere lo spettacolo di un prestidigitatore. Finalmente, dopo la presentazione dell’evento, dopo l’intervento di natura promozionale ed economica, viene annunciato il grande Alan Barillaro, supervisore dell'animazione di Wall-E e de Gli Incredibili.
Si alza un ragazzo ricciolino, dal viso pulito e dallo sguardo limpido, vestito con jeans e scarpe grosse, che timidamente inizia a parlare.
Prima cosa dice, forse per accattivare il pubblico, che ha origini italiane: la mamma abruzzese e il padre calabrese e inoltre è nipote d’arte: il nonno era disegnatore e studiò a Milano.
Poi tenta di conquistare il cuore degli astanti, offrendo la sua esperienza.
“Dopo Gli Incredibili ero molto stanco, ma mi è stato presentato un altro progetto, una storia d’amore muta, cosa difficilissima da realizzare, e per di più fra due robot. Mi hanno coinvolto. Era un’opportunità straordinaria”.
Difficile, quindi, resistere all’idea di Andrew Stanton, regista di Alla ricerca di Nemo, con cui si è aggiudicato il Premio Oscar come film d’animazione, che per spiegare il tipo di storia che voleva realizzare, ripeteva la frase “L’amore irrazionale sfida la programmazione”. I robot avrebbero dovuto umanizzarsi. Il problema, come sottolinea Barillaro, era proprio questo: riuscire a esprimere i cambiamenti d’umore, le reazioni e i malumori attraverso robot, che, certo, non si può dire abbiano una mimica facciale. Lo studio dei personaggi è stato maniacale. Dopo lo script, per creare personalità sfaccettate e a tutto tondo, gli animatori vagavano per strada a osservare, analizzare, studiare le persone, i modi di fare e poi tornavano negli studi e discutevano, consapevoli che non tutto sarebbe stato utile. Si sono scervellati su cosa dovesse trovare Wall-e nella discarica, hanno discusso per lunghi periodi sulla sua reazione alla sparatoria di Eve. Addirittura era un problema l’angolazione dei bulloni del protagonista, vista la sua veneranda età.
I disegnatori hanno realizzato ben diciotto mila storyboard, dovevano ricreare un mondo possibile, credibile. Per far ciò particolare attenzione è stata data al colore e alla fotografia. Una conditio sine qua non era la riproduzione delle imperfezioni tipiche dei film di fantascienza anni ’70. Stanton voleva sporcare un po’ quella che altrimenti sarebbe stata un’animazione fredda. Jim Morris, il produttore, si è rivolto a due eminenti esperti: il direttore della fotografia Roger Deakins e il supervisore agli effetti visivi Dennis Muren.
Un altro elemento importantissimo per caratterizzare i personaggi è stato il sound design affidato a un maestro della materia, Ben Burtt, Premio Oscar per il montaggio del suono di Star Wars, E.T. e Indiana Jones. Insomma un’equipe d’eccezione! Senza tralasciare la colonna sonora affidata a Thomas Newton in collaborazione con Peter Gabriel.
Finita la conferenza eravamo tutti in attesa di iniziare le interviste, gli incontri tete-a-tete.
Per fortuna la mia impazienza è stata presto sedata. Alan Barillaro mi ha accolto con un sorriso, ovviamente ricambiato. Il tono è stato discorsivo, nessuna forma di autoesaltazione o presunzione. Come avevo notato è timido e tratta le persone con allegria e affabilità. Avevo mille domande, ma poco tempo.
La prima che mi premeva era: qual è il rapporto fra creatività e tecnologia?
“La creatività è tutto, altrimenti copiamo. Questa è la caratteristica della Pixar e forse la parte più stressante per noi disegnatori: siamo tormentati dall’idea che non ci siamo sforzati abbastanza, che non abbiamo raggiunto il top.” La Pixar, quindi, è un luogo in cui la creatività viene suggellata dallo stimolo continuo della espressione personale. Il paese delle meraviglie!
Ma volevo capire: chi entra nella famiglia Pixar? Quale è stato il tuo percorso?
“Ho frequentato corsi di animazione e di disegno manuale, cosa a cui tiene molto la Pixar. Molti pensano che il computer sia tutto, ma non è così.”
Possibile che sia tutto divertimento e gioco? A questo punto la cosa successiva da chiedere era: quanto è lungo il lavoro duro, intenso per produrre un film come Wall-E?
“Circa un anno, durante il quale lavoriamo tutti insieme, dalle dieci del mattino, ora in cui ci riuniamo per vedere cosa abbiamo fatto il giorno prima, alla sera. E’ molto imbarazzante mostrare il proprio lavoro, rischiando di prendere cantonate enormi. Ma ci divertiamo, c’è un grande spirito di squadra, molti li conosco da undici anni. C’è un’atmosfera familiare.”
Propongo di inviare tutti i datori di lavoro a studiare il metodo Pixar, se è così valido da produrre ciò che vediamo, probabilmente applicato ad altre aziende potrà incentivare l’andamento economico anche di altri settori.
Ma mi servivano altre informazioni per chiarire l’eventuale proposta da presentare alla Confesercenti o alla Camera di Commercio: come nasce l’idea di un personaggio, delle sue caratteristiche, come si sviluppa?
“In genere è il regista che propone, i disegnatori sono come gli attori, seguono le direttive.” Mettendo molto del loro sacco. Potrebbe essere un buon modo per gestire il personale. Non c’è dubbio.
Quale futuro prevedi per l’animazione?
“L’animazione è una forma d’arte giovane, grazie agli artisti si evolverà anche il mezzo.”
Wall-E è un film altamente poetico, romantico, richiama la tenerezza dei film Disney.
“Sì, questa poesia è eredità di Walt Disney, della tradizione Disney, a cui la Pixar presta molta attenzione.
Inoltre la creatività dei disegni è un merito dei registi e dei direttori artistici. Per tre anni abbiamo parlato di come fare Wall-E. Abbiamo analizzato le diverse possibilità e solo dopo un attento vaglio abbiamo deciso quale era la cosa migliore.”
Un’altra domanda, avviandoci a chiudere questo breve, purtroppo, incontro: cosa ne pensi della concorrenza giapponese?
“La concorrenza è positiva, è uno stimolo che ci permette di migliorare. La contaminazione può dare grandi contributi. L’animazione giapponese ha avuto un’influenza epocale. Miyazaki, per esempio, mi piace molto. Penso che ci sia posto per tutti: 3D, 2D, i classici… Alcuni animatori vorrebbero eguagliare la Pixar, ma credo che ognuno debba trovare la propria strada, il proprio modo di esprimersi.”
E infine non potevo congedarmi senza cercare di carpire qualche scoop: che progetti ha Alan Barillaro?
“L’unica cosa che posso dire è che c’è un film intitolato L’orso e l’arco, che uscirà nel 2011. Ma non chiedermi altro.”
Così sollecitata a togliere i chiodi dalla sedia a cui ero attaccata, con una sfilza di domande che mi ballavano davanti gli occhi, ho dovuto salutare il gentile fanciullo, che, obiettivamente, si è dimostrato all’altezza del miglior dribbling, un grandioso esempio di diplomazia sincera ed entusiasta. Speriamo che mantenga questa freschezza e che ci continui a donare animazioni tanto coinvolgenti.
(foto di Letizia Mirabile)
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