Luca, come è nata la storia del Fuoco della Fenice?
Il Fuoco della Fenice è nato in modo abbastanza curioso. L’idea base, concepita fra novembre e dicembre del 2007, era quella di raccontare in prima persona le vicende di Twil, dando vita a un romanzo breve e incisivo (e di massimo 150 pagine). Sentivo la necessità di scrivere una storia che si esaurisse rapidamente, proprio come un fuoco che arde all’istante facendo molta luce.
In quel periodo uscivo da letture come La Trilogia di Magdeburg di Alan D. Altieri, Il Dardo e la Rosa di Jacqueline Carey e Jonathan Strange & il Signor Norrell di Susanna Clarke, tutti volumi di oltre 800 pagine. Probabilmente sentivo la necessità di ricordare, soprattutto a me stesso, che per scrivere un romanzo fantasy potevano (e dovevano) bastare anche solo un centinaio di pagine. Avevo inoltre in mente alcune immagini ben precise, poi confluite nel primo capitolo del romanzo, e mi sembrava che quelle immagini si sposassero molto bene col progetto di un romanzo breve. Insomma, tutto tornava.
Ma prima di iniziare materialmente a scrivere il libro, ho subito scartato e rielaborato l’idea della storia di Twil in prima persona. C’era qualcosa che non mi convinceva. Così ho adottato lo stesso stratagemma presente ne Le Nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley, con un prologo in prima persona e il resto della storia in terza.
Qual è stata la cosa più difficile da ideare o da gestire?
Credo che la cosa più difficile sia stata trovare un mio modo di scrivere, che fosse personale e non scimmiottasse nessuno. Si dice che l’imitazione sia la forma più sincera di adulazione: un modo come un altro per dimostrare il proprio apprezzamento verso i libri e gli autori che ci hanno influenzato. Ecco, anch’io mi sono scontrato spesso e volentieri con questa forma di adulazione, ma grazie ai suggerimenti dei primi lettori, che ringrazio anche qui, e poi dell’editor, credo di aver trovato una strada che è davvero mia.
Abbiamo letto su FM la quarta di copertina: dacci qualche ghiottoneria in più…
Come tutte le quarte di copertina è, almeno per i miei gusti, fin troppo sibillina. Certo che se dico qualcosa di più con sole 250 pagine racconto tutto il romanzo!
Diciamo che la storia segue tre linee narrative distinte: la vita di Twil, il passato di Alcor e gli intrighi della Predicatrice. E’ un romanzo che mescola assieme l’urban-fantasy al fantasy classico (elfi, nani, orchi, ma anche fenrir, veela, nephilim, sfingi… ed elphi). Ci sono anche richiami alla mitologia antica, in particolare ai culti del sole e della luna, e un tocco tecnologico e futuristico. Mi piacciono molto le atmosfere che richiamano alla mente un certo decadentismo raffinato, e quando ho pensato a una ambientazione per Il Fuoco della Fenice l’idea di una Terra futura, con un sole enorme a riempire il cielo (magari, perché no, nella sua fase di stella Gigante Rossa), mi ha affascinato subito. Così ho tentato di mescolare assieme passato e futuro, fantasia e realtà. Ne è nato questo romanzo.
La scelta di un titolo è sempre una fase delicata per un romanzo. Spesso si rischia di ideare un titolo dal suono grandioso ma non in grado di racchiudere il succo della storia. Un caso eclatante in questo è Harry Potter e i Doni della Morte. Come ti sei regolato col tuo libro? Il titolo è nato già così o ha subito modifiche e ripensamenti?
No, il titolo che avevo dato al manoscritto è stato scartato quasi subito. In effetti è stato molto meglio così: era davvero orrendo! E no, non lo dirò nemmeno sotto tortura… Poi assieme all’editore abbiamo vagliato un paio di possibilità (solo due, nemmeno molte). Fra queste, l’occhio mi è caduto subito su Il Fuoco della Fenice. Semplice, d’impatto, mai usato in precedenza da nessuno e perfetto per ciò che racconta il romanzo. Insomma, amore a prima vista. Non ho avuto dubbi: era il mio titolo.
Quali sono, in astratto, i tuoi modelli di riferimento, sia a livello di stile che di costruzione della trama, dei personaggi e delle ambientazioni? E in concreto, riesci a vedere in modo conscio quali parti del tuo libro possano aver influenzato?
In effetti posso dire di avere una madre e un padre “letterari”, modelli di riferimento che
hanno creato il mio gusto per un certo tipo di storie. La madre è sicuramente Marion Zimmer Bradley, e il padre è George R. R. Martin. Della prima amo in modo speciale la saga di Darkover, per l’inedita fusione di fantasy e fantascienza, per i temi sempre odierni (mi viene un brivido se penso che la Zimmer Bradley iniziava a scrivere questa saga negli anni ’60, eppure le tematiche sembrano prese dall’attualità di oggi!) e la sensibilità nel tratteggiare i personaggi. Del secondo, Martin, amo l’epicità, lo stile elegante, e il saper tessere trame e colpi di scena come nessun altro. Con lui è stato come riscoprire il fantasy.
Be’, in concreto la mia protagonista sarebbe la perfetta Darkovana: capelli rossi, carnagione pallida, occhi un po’ insoliti a dire il vero. E non posso tralasciare il gigantesco sole (in qualche caso pure rosso) che sembra sempre incombere su tutto lungo il corso del romanzo. Ma a parte i dati oggettivi, questi autori sono in tutto e per tutto i miei modelli di riferimento. Non sono solo scrittori, ma anche curatori di antologie e riviste, editor capaci, scopritori di nuovi talenti (e assieme a loro, senza dubbio, dovrei fare altri nomi. Mi viene in mente Neil Gaiman o, per farne uno italiano, Alan D. Altieri). Nel mio piccolo, e per come posso, sono senza dubbio i modelli che cerco di seguire.
Ormai siamo abituati a saghe interminabili. Questo tuo libro è autoconclusivo? E se non è una saga, si presta comunque a diventare una serie, qualora avesse successo?
Gioite! Questo libro è conclusivo in se stesso. Non c’è bisogno di leggere altro per sapere come va a finire la storia, sta tutta lì nelle sue 250 pagine.
Certo, l’ambientazione si presta sicuramente ad altre storie. Questo è il bello dell’aver “sfruttato” il nostro passato, con i suoi miti e leggende, e poi aver immaginato un futuro davvero “alternativo”. Ma per ora non sto pensando a nessun seguito, è ancora presto.
3 commenti
Aggiungi un commentoDevo dire che Luca dimostra sulla carta (almeno quella dell'intervista) un'esperienza che va ben oltre i 25 anni di età. Sicuramente leggerò il suo romanzo. E' sempre bello vedere che un altro esordiente c'è riuscito e glielo auguro lla grande.
Devo ammettere che, da quanto emerge dall'intervista, il suo trascorso è stato idilliaco, anche trovare un editore è stato semplice. Non si è parlato della fatica di scrivere, delle notti passate a cercare tra le parole e del tuo mondo di carta che si materializza e improvvisamente diventa una seconda vita: precedente, parallela e futura a quella reale, ma credo che anche per Luca sia stato così. Io, che di anni ne ho appena fatti 43 (ebbene si), sono riuscita finalmente a pubblicare un libro fantasy per tutti i ragazzi (giovani e vecchi) che ancora apprezzano l'evasione nel mondo magico della fantasia, ma devo dire la verità: sono rimasta piuttosto delusa e l'ottimismo di Luca mi rasserena. Delusa dalla fatica di trovare un editore che speri nel tuo lavoro tanto da volerlo publicare; dal fatto di non riuscire ancora a trovare il mio libro in libreria, malgrado siano passati ormai 5 mesi da quando è stato pubblicato. Scrivere per il piacere di farlo e poi accorgersi che c'è di più, che si vuole di più. Dopo lo scoglio della stesura c'è quello dell'accettazione dell'opera da parte di un editore, ma la pubblicazione è solo un passaggio importante e non basta più. Il libro deve piacere a più gente possibile e il modo migliore è quello di proporglielo. Ovviamente, non trovandolo nei cataloghi delle grandi librerie e sperando solo nella vendita su internet, il sogno sembra proprio svanire qui, cosa che spero non accada a nessuno scrittore emergente. Non si diventa qualcuno se si è già qualcuno.
In bocca al lupo.
Barbara Righini
Be', Luca, con due simili genitori letterari, sono proprio curioso di vedere cosa ne è uscito. Se Martin è padre di molti, ormai - tecnicamente può ben essere considerato un maestro -, Marion Zimmer Bradley raramente si sposa con un simile gusto per un tale padre. Insomma, una famiglia strana, che dovrebbe generare risultati quanto meno "diversi".
Ti leggerò, prima o poi. Intanto considera acquistata la mia copia.
Per Barbara: ma hai chiesto spiegazioni direttamente all'editore (Altromondo), circa la distribuzione? Ho visto che nella collana "Acciaio", comunque, hanno pubblicato davvero molti autori. Tutti a spese loro o richiedono un pagamento? (Scusa le domande personali, libera di non rispondermi.)
Grazie Barbara, e crepi il lupo. Capisco bene cosa intendi: ridendo e scherzando è da quando avevo 17 anni che sono in cerca di un editore, e di anni ne sono passati già 8. Capisco bene il tuo punto di vista, e ti posso assicurare che il sogno è sfumato spesso nelle tinte dell'incubo. Nell'intervista però traspare quello che sono, una particolare forma mentis che mi porta sempre a vedere il lato positivo della cosa, e a dimenticare rapidamente tutto ciò che di negativo c'è stato. Avrei potuto raccontare di quante volte, con tanti e vari editori (di ogni tipo), sono andato vicino a un sì; alle tante idee ferme in un cassetto; alle ore (tante, le più improponibili) spese davanti al Pc; agli innumerevoli capitoli 1 di mondi che non sono mai stati creati... alla fine però, e di questo sono contento, tendo a guardare solo ai risultati, piccoli, ma ci sono. Il Fuoco della Fenice è il primo passo, Sanctuary sarà il secondo. Poi, spero di poterne fare tanti altri. La strada è lunga, mi auguro, e piena di sorprese; come lo auguro a te.
Ciao Andrea, grazie mille anche a te!
In effetti sono due genitori difficili, non lo nego. E sicuramente ho preso più da "mamma" che da "babbo" (ok, usciamo subito dalla metafora, l'idea di una Zimmer Bradley e di un Martin che si riproducono assieme è davvero tremenda!). Resta che, chi per un motivo chi per l'altro, entrambi mi hanno regalato una diversa definizione di fantasy, e non limitata alla pura scrittura.
Grazie a tutti,
Luca
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